I benefici di cento anni di pratica nella terra della perfetta beatitudine non si possono paragonare ai benefici ottenuti in un solo giorno di pratica in questo mondo impuro. Duemila anni di propagazione nel Primo e nel Medio giorno della Legge sono inferiori a un'ora di propagazione nell'Ultimo giorno della Legge. Questo non dipende in alcun modo dalla saggezza di Nichiren, ma semplicemente perché i tempi sono maturi.
(Nichiren Daishonin, Ripagare i debiti di gratitudine)

Dapprima solo Nichiren recitò Nam-myoho-renge-kyo, ma poi due, tre, cento lo seguirono, recitando e insegnando agli altri. Questo accadrà anche in futuro. Non vuol dire ciò "emergere dalla terra"?
(Nichiren Daishonin, La vera entità della vita)

Questo sutra può salvare tutti gli esseri viventi.
Questo sutra può liberare gli esseri viventi dalle sofferenze e dai tormenti.
Questo sutra può arrecare grandi benefici a tutti gli esseri viventi ed esaudirne i desideri, proprio come una fresca e limpida fonte può soddisfare tutti coloro che sono assetati.
È come un fuoco per chi ha freddo, una veste per chi è nudo, come una carovana
di mercanti che trova una guida, un bambino che trova la madre, qualcuno che trova una barca per attraversare l'acqua, un ammalato che trova un medico,
come chi trova una lampada nell'oscurità, un povero che trova un tesoro,
un popolo che trova un sovrano, un mercante in viaggio che trova la via per il mare,
è come una torcia che fa svanire l'oscurità.
Tale è il Sutra del Loto.
Può liberare gli esseri viventi da tutti i disagi, tutte le malattie e le sofferenze.
Può sciogliere i vincoli della nascita e della morte.
Per questa ragione [...] dopo la mia estinzione,
nell'ultimo periodo di cinquecento anni,
dovrai diffonderlo in tutto Jambudvipa*
e non permettere mai che la sua diffusione sia interrotta [...]
[...] se vedrai qualcuno che accetta e sostiene questo sutra,
dovrai prendere dei boccioli di loto blu,
profumarli con incenso in polvere
e cospargerli su di lui come offerta;
e quando li avrai cosparsi, pensa dentro di te:
fra non molto questa persona raccoglierà delle erbe,
le disporrà per farne un sedile nel luogo dell'Illuminazione
e sconfiggerà le armate del demone.
Poi suonerà il corno della Legge, percuoterà il tamburo della grande Legge
e libererà tutti gli esseri viventi dal mare dell'invecchiamento, della malattia e della morte.
Per questo motivo, quando coloro che ricercano la via del Budda
vedono qualcuno che accetta e sostiene questo sutra,
devono provare per lui questo sentimento di rispetto e reverenza.

(Il Sutra del Loto, XXIII capitolo)

*Il continente a sud del monte Sumeru che prende il nome dagli alberi di jambu. È popolato da persone segnate dal karma negativo e là il Buddismo si diffonde per condurle alla salvezza.

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La propagazione

Trasmettere agli altri la via per diventare Budda

Perché tutti siano felici, nessuno escluso

La propagazione

Intervista a Silvia Manco e Adriano Giannini

Intervista a Silvia Manco e Adriano Giannini

È tradizione, non solo nella Soka Gakkai ma in generale nella storia del Buddismo, affidare alle giovani generazioni il futuro dello sviluppo e della diffusione dell'insegnamento nel mondo.
Questo fece Josei Toda l'11 luglio 1951 quando fondò la divisione giovani uomini in Giappone: «Kosen-rufu è la missione che io devo assolutamente realizzare. Miei giovani amici, spero che ognuno di voi giungerà a comprendere l'importante e nobile ruolo che ricopre... Sono sempre i giovani che fanno cambiare i tempi e creano una nuova epoca. Il mio unico desiderio è che voi realizziate assolutamente questa grande e nobile missione» (Il mondo del Gosho, vol. 2, pp. 174-5).
Daisaku Ikeda, presente a quella riunione, raccolse più di ogni altro l'eredità del suo maestro, e a sua volta la sta trasmettendo instancabilmente ai giovani: «Io ho una grande passione per la gioventù, e la mia più grande gioia è vederla crescere. La mia visione di giovani che crescono in un'atmosfera di libertà, pace e felicità mi fa tremare il cuore di gioia. È mia speranza, oggi, poter trascorrere il resto della mia vita camminando accanto ai giovani e respirare l'aria che essi respirano. E se potrò, da vivo, vederli salire sul palcoscenico che abbiamo costruito insieme e librarsi in alto uno dopo l'altro per la causa della pace mondiale e dell'avanzamento culturale, conoscerò la realizzazione delle mie speranze, l'ottenimento della mia più grande gioia» (DuemilaUno, n. 14, p. 24).
Abbiamo chiesto a due responsabili della divisione giovani italiana, Silvia Manco e Adriano Giannini, come pensano di realizzare il desiderio del maestro.

Potete raccontarci brevemente la vostra esperienza di shakubuku?
ADRIANO: Pratico il Buddismo da circa diciannove anni e attualmente quindici persone alle quali ho parlato del Buddismo hanno ricevuto il Gohonzon.
La mia esperienza è stata ovviamente diversissima da persona a persona, ma ci sono senz'altro alcuni elementi comuni.
Prima di tutto lo stato vitale.
Ho notato quanto uno stato vitale alto, indipendente dalle circostanze, sia alla base di uno shakubuku efficace.
Poi il coraggio.
Già, senza coraggio non è possibile sconfiggere tutti quei dubbi che ci assalgono proprio mentre capita "l'occasione giusta". Ma anche, spesso, per crearla questa occasione giusta. In realtà si tratta di mettersi completamente in gioco per dimostrare la validità del Buddismo.
Infine, la decisione.
Che è sorella del coraggio. Indispensabile sia nel modo di esporre il Buddismo e la nostra esperienza, sia per arrivare al cuore di chi ci ascolta.
Il tutto origina dalla preghiera, da quanto siamo disposti a ricercare e manifestare la Buddità quotidianamente nella nostra vita.
SILVIA: Nei primi anni della pratica ero così emozionata di essere venuta a conoscenza di questo meraviglioso insegnamento, e sorpresa di non averne mai sentito parlare prima, che ho fatto shakubuku a tutte le persone che conoscevo. Poi c'è stato un rallentamento, mi sembrava di non conoscere più persone nuove e quindi di non poter più fare shakubuku a nessuno. Ora, da qualche anno, ogni mattina quando recito Gongyo prego per poter incontrare qualcuno a cui parlare della pratica - essendo di natura abbastanza riservata e poco incline a dare confidenza o a fare nuove conoscenze, questo tipo di preghiera ha fatto sì (e fa sì) che lentamente ma inesorabilmente il mio atteggiamento verso gli altri cambiasse e io diventassi più aperta e comunicativa.
Delle persone a cui ho fatto shakubuku due hanno ricevuto il Gohonzon - una è mia madre -, diversi altri amici stanno praticando regolarmente e frequentando le riunioni e altri ancora non hanno iniziato a praticare, ma nel corso della loro vita continuano a incontrare persone che praticano e mantengono sempre il legame con il Gohonzon.

Cosa vi spinge a parlare agli altri del Buddismo di Nichiren Daishonin?
ADRIANO: La speranza.
L'aver sperimentato che il Buddismo funziona mi induce a volerlo diffondere, dando la speranza di una vita felice e pienamente realizzata, libera dalle sofferenze e dalla paura.
SILVIA: Soprattutto il desiderio che siano felici, tanto felici e che possano vivere delle vite piene e soddisfacenti basate sul rispetto per tutti gli esseri viventi, come sto cercando di fare anche io.
Devo dire che dopo il mio primo viaggio in Giappone, il cui ritorno coincideva, ahimè, con l'11 settembre 2001, il dolore per la sofferenza di tante persone mi ha spinto a desiderare ancora più fortemente e profondamente la pace e a considerare la pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin come il mezzo per cambiare i cuori delle persone. Ogni giorno preghiamo per la pace nel mondo e perché noi membri della Soka Gakkai possiamo essere all'altezza di realizzarla. Questa preghiera secondo me si trasforma in azione con la pratica di shakubuku e con il nostro atteggiamento coerente con l'insegnamento buddista. Questo è il mio sforzo quotidiano.

Alla luce della vostra esperienza, cosa pensate che un ragazzo o una ragazza possano trovare nel praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin e nel partecipare alle attività della Soka Gakkai?
SILVIA: Credo che oggi manchino ai giovani la speranza e la fiducia nel futuro. Quando avevo io vent'anni la situazione non era così difficile.
Per i giovani oggi è difficile continuare a credere nei propri sogni, forse la difficoltà sta proprio nel riuscire a desiderare veramente qualcosa.
Per me il Buddismo ha significato, e significa tutt'ora, eterna speranza e fiducia; mi permette di vedere che c'è sempre una porta da aprire anche quando sembra che ci siano solo muri.
Succede proprio qualcosa di meraviglioso quando recitiamo Daimoku, e questo influenza l'ambiente in cui viviamo.
Le attività nella Soka Gakkai ci aiutano a fare quello che la società attuale non ci incoraggia affatto a fare: mi riferisco al fatto di pregare non solo per la nostra, ma anche per l'altrui felicità, a migliorare il dialogo basandosi sull'ascolto e sul rispetto reciproco, a gioire dei successi degli altri, a incoraggiare ed essere incoraggiati a conoscere tante persone, tutte diverse, e tanto diverse da quelle che normalmente frequenteremmo. Le attività nella Soka Gakkai sono occasioni per esercitarsi assiduamente a sviluppare questa benevolenza verso tutti gli esseri viventi e a costruire delle solide basi per la nostra vita partendo dall'apprezzamento dell'altro/a, considerando l'alterità una ricchezza.
ADRIANO: Nel Buddismo di Nichiren Daishonin si può trovare la risposta a tutte quelle domande che in modo più o meno consapevole ci affollano la mente o il cuore. Come, ad esempio, che senso ha la vita, cos'è la morte, qual è il modo più corretto di vivere. Ma anche domande meno filosofiche: come fare a trovare il/la fidanzato/a, ad avere tanti amici, o migliorare gli studi, o il rapporto con i propri genitori ecc.
Non solo, si può trovare il modo concreto di manifestare appieno la propria massima potenzialità, che è sempre maggiore di quello che crediamo.
In una parola si può diventare felici.
A qualsiasi età.
Partecipare alle attività della Soka Gakkai permette a chiunque di imparare il modo corretto di applicare il Buddismo concretamente alla propria vita, fungendo da continuo stimolo e riferimento. Diciamo che sarebbe pressoché impossibile praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin senza la Soka Gakkai, espressione concreta del desiderio, dello spirito e della compassione che universalmente caratterizza i Budda di tutte le epoche. Riveste inoltre un importante ruolo educativo ai valori della vita e a una corretta percezione della felicità.

Il presidente Ikeda ha indicato nei giovani i suoi successori, nel senso che ha affidato loro la guida della propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin nel mondo. Voi siete dei punti di riferimento per i giovani della Soka Gakkai italiana. Come vi sentite nei confronti del compito che vi ha affidato il nostro maestro?
SILVIA: Io recito Daimoku e mi sforzo per riuscire a mettere in pratica ogni giorno gli insegnamenti di Nichiren Daishonin e i consigli del presidente Ikeda.
Mi piacerebbe sapere che questi sforzi, e la lotta che ingaggio ogni mattina contro la mia oscurità fondamentale - che non mi permette di vedere che sono un Budda e che anche le altre persone lo sono - sono di incoraggiamento e di ispirazione.
Talvolta di fronte a questo compito che Daisaku Ikeda mi ha affidato - lo ha affidato a tutti i giovani ma immagino che ognuno lo senta e debba sentirlo come un compito personale - mi sento mancare la terra sotto i piedi, mi sembra di non fare abbastanza o che potrei fare meglio. In questi momenti decido nuovamente di dedicarmi con gioia alla realizzazione del grande obiettivo della pace nel mondo attraverso lo shakubuku, la mia rivoluzione umana e la dedizione agli altri, ed esprimo gratitudine per tutto quello che ho fatto finora e per tutto il Daimoku recitato, perché ogni volta che arrivo al punto in cui "mi manca la terra sotto ai piedi" e voglio migliorare, questo avviene grazie a tutto quello che ho fatto fino a quel momento.
ADRIANO: Prima di tutto vorrei precisare che l'unico punto di riferimento per i giovani della Soka Gakkai italiana è il presidente Ikeda.
Per quanto riguarda il compito che mi ha affidato, mi sento ispirato.
Ritengo che mi stia chiedendo di manifestare nella quotidianità il suo stesso spirito, lo stesso desiderio, attingendo dalla medesima fonte, il Gohonzon che è dentro ognuno di noi, e aiutare gli altri a fare lo stesso.
Questo è ciò che mi sto impegnando a fare.
Imparando dal suo esempio e consolidando questo atteggiamento saremo senza dubbio in grado di generare tutti quanti una grande propagazione del Buddismo che svilupperà una maestosa rivoluzione pacifica facendo fiorire nella società una nuova speranza reale e concreta. Il coraggio, la saggezza e lo sviluppo necessari al perseguimento della vera felicità diventeranno alla portata di tutti, in Italia e nel mondo: in poche parole kosen-rufu.

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La missione dei giovani

La propagazione

In prima persona
incontro con Liliane Janho

Incontro con Liliane Janho

Liliane Jahno, diciotto anni di pratica, diciotto persone «o forse qualcuna di più, sparse in tutta Italia» che hanno ricevuto il Gohonzon grazie a lei.
«Fare shakubuku è l'azione più positiva che si possa fare, per la propria vita e per quella degli altri. Se non si desidera e non si agisce per propagare, nella pratica manca un elemento fondamentale. Quello che mi ha sempre spinto a parlare agli altri della pratica è la decisione di trasformare la mia vita, e ho sperimentato che fare shakubuku è l'azione più potente per il cambiamento».

Per molti è difficile fare shakubuku.
Sì, è difficile, perché costa fatica, però per riuscire a farlo bisognerebbe metterselo come scopo, e ricordarsi sempre il proprio cambiamento, i benefici ottenuti grazie alla pratica. Ogni volta che si fa shakubuku si sente una gioia incredibile, una grande felicità, si alza lo stato vitale. Ho avuto dei periodi, quando ero incinta o all'inizio della pratica, in cui facevo tantissimo shakubuku. Quelli sono stati i periodi più felici della mia vita, i più completi.

Si prova gioia perché ci si apre agli altri?
Non solo per questo, ma perché dai alle persone la tua stessa possibilità di speranza e di felicità. E in quel momento la riconfermi anche a te stessa. Comunque se non si fa l'esperienza dello shakubuku, è come se dentro ci fosse una parte che dorme, una parte della vita che comunque non vuole essere felice. E quindi bisogna ricordarsi anche che shakubuku va coltivato, come lo spirito di ricerca, non si può tralasciare. Altrimenti muore una parte di noi, e si incaglia anche la pratica.

Ci sono stati dei momenti in cui non ti andava?
Sì, però sono stati dei momenti di tristezza, in cui la vita si assopisce, e un modo per cambiare questo torpore interiore è rideterminare. Per esempio, quando mi hai parlato di questa intervista, mi ha preso un colpo, mi sono chiesta: ora come faccio? Faccio shakubuku. E così ho fatto: sono uscita e ho subito parlato della pratica a una persona, che vuole cominciare subito.

Tutte le persone a cui hai fatto shakubuku hanno cominciato a praticare?
No, però non credo che questo sia importante, penso che sia importante che le persone conoscano questa possibilità, che diventino amiche del Buddismo, perché prima o poi cominciano. Quindi non bisogna assolutamente disperarsi se una persona non inizia subito a praticare, perché con l'atto di shakubuku - è la mia esperienza personale - si cambia una causa così grande nella propria vita che piano piano si incontrano persone sempre più ricettive, sempre più vicine, sempre più pronte ad abbracciare il Buddismo di Nichiren Daishonin.
Per esempio quando sono venuta ad abitare in questo palazzo non c'era nessun praticante, ora ci sono quattro famiglie che hanno ricevuto il Gohonzon e altre cinque persone hanno cominciato a praticare. All'inizio l'ambiente era molto difficile, io recitavo Daimoku per il benessere del palazzo, desideravo che arrivasse a tutti attraverso la tromba delle scale e i buchi delle porte. Poi, uno dopo l'altro, hanno cominciato a praticare in parecchi, quello del piano di sopra che non sopportava il Daimoku, nella casa accanto ora c'è un luogo di riunione, ciascuno ha la sua funzione. Si sente recitare Daimoku a tutte le ore, ed è bello incontrare gente felice.

Toda diceva che ci vuole coraggio, per fare shakubuku.
E sì, ci vuole coraggio. Perché è difficile credere fino in fondo nella tua vita. Allora ti devi ricordare i benefici che hai avuto e attraverso quelli fare shakubuku. Perché è facile dimenticare le cose belle, le montagne che hai scalato, le difficoltà che hai superato. Quelle che ora sembrano cose normali, ma che allora sembravano impossibili, e tu le hai realizzate. Ecco, quando fai shakubuku devi ricordarti quei momenti, e allora ti viene il coraggio di tirar fuori quella parte intima di te che ha lottato e lotta con la pratica per il cambiamento della vita.
Facendo così tutta la vita va avanti.

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Se pensi alle difficoltà superate hai voglia di parlarne agli altri

La propagazione

In prima persona
incontro con Nicola Serpone

Incontro con Nicola Serpone

Mi racconti come andò quando portasti tutte quelle persone a zadankai?

«La cosa successe un po' per caso... Conoscevo il Buddismo da diversi anni ma iniziai a praticare regolarmente nel 1993, con una pratica "molto personalizzata": Gongyo mattina e sera e quindici minuti di Daimoku al giorno più riunioni di discussione». Chi parla è Nicola Serpone, giovane insegnante molisano. «Dico molto personalizzata perché, ancorato alla mia eccessiva timidezza e temendo molto il giudizio dei miei amici e soprattutto della mia cattolicissima famiglia, ignoravo, volutamente, la frase del Gosho: «Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o una sola parola». Avevo due obiettivi che volevo realizzare: il lavoro e una famiglia serena e felice, che rimasero immobili e non realizzati - nonostante avessi avuto prove concrete della pratica su altri fronti - per ben tre anni... finché nel 1996 decisi di rompere il mio guscio di chiusura agli altri e cominciai a recitare Daimoku per questo obiettivo. Aumentai il Daimoku, cominciai a fare studio di Gongyo e iniziai a leggere con più costanza gli scritti di Nichiren Daishonin e i discorsi di Ikeda. Verso fine anno, dopo una riunione di discussione dove mi avevano regalato una copia della poesia Osa credere - attribuita erroneamente al secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda, ma comunque molto incoraggiante - uscii con la mia solita comitiva di amici e durante la serata tirai fuori questa poesia facendola leggere a tutti. Lì, per la prima volta, dissi che praticavo il Buddismo e spiegai un po' la pratica. Ricordo che provai una gioia così grande che non avevo mai provato prima.
Alla riunione seguente vennero con me tredici di loro, tra cui mia sorella e il ragazzo. Fu un vero shock per i responsabili che se li videro arrivare. Non era comune, in una città piccola come Campobasso, portare tante persone a una riunione buddista, soprattutto pensando che i praticanti di tutto il Molise all'epoca erano forse appena il doppio.
Dopo un mese diventai membro della Soka Gakkai e il mese seguente iniziai a lavorare... tre lavori insieme e tra l'altro con ingenti entrate economiche.
Da allora ho continuato a parlare della pratica a tantissime persone, ma di fatto una sola, nel corso di questi anni, ha ricevuto il Gohonzon. Questo mi causava sofferenza e continuavo a dirmi... «ma come è possibile con tutti gli sforzi che faccio?». All'inizio del 2004 ho deciso di affrontare il mio osso duro, i sentimenti, e ho fissato anche altri obbiettivi: desideravo comprare una casa e desideravo che almeno una delle persone a cui avevo parlato della pratica ricevesse il Gohonzon. Ho recitato tantissimo Daimoku per la loro felicità e ho cercato di dare il massimo per kosen-rufu. Tre dei miei amici hanno cominciato a praticare regolarmente e due hanno deciso di ricevere il Gohonzon entro l'anno. Anche mia sorella, che veniva saltuariamente alle riunioni e parlava della pratica agli amici ma che, di fatto, non aveva mai recitato Nam-myoho-renge-kyo, un giorno ha deciso di fare quindici minuti di Daimoku con me. Il Gosho dice: «... piangerete lacrime di gioia...». Ragazzi che botta! Quindici minuti di pianto ininterrotto, tanto che ho dovuto far condurre la recitazione a lei!
Che dirvi! Ho comprato casa e una seconda l'ho avuta in eredità, sto vivendo una bellissima storia sentimentale e in famiglia si respira un'aria serena e felice e io sempre più mi sento «felice e a mio agio».
Ora c'è un altro aspetto di me che vorrei affrontare. Non sempre riesco a dialogare in maniera aperta con persone che hanno credi religiosi diversi dal mio... in fondo in fondo penso sempre: «Io ho Nam-myoho-renge-kyo per mettere in pratica gli insegnamenti di Nichiren, tu no!», ma ora vorrei andare verso una maggiore apertura. Penso che questo sia possibile man mano che approfondisco la mia fede. Nichiren dice: «Nel momento in cui percepisci che la tua mente è quella del Budda capirai che lo è anche la mente di tutti gli altri»; per cui, quello che cerco di fare è scavare di più nella mia mente, con il Daimoku, e dialogare con quante più persone possibili. Mi piacerebbe vedere il Budda in tutte le persone che incontro e mi sto allenando a non pensare alle differenze che possano esserci tra me e il mio interlocutore perché, secondo me, il solo pensarlo crea già una frattura».

(a cura di Roberto Carvelli)

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Una gioia così grande non l'avevo mai provata

Nato a Roma il 14 giugno 1955, Massimo Introvigne è uno dei più noti esperti italiani di problemi delle minoranze religiose e delle sette. Ha conseguito il Baccellierato in Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e la laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Torino. 
Nella stessa università ha svolto attività di didattica e di ricerca nell'ambito della filosofia del diritto. Ha esercitato la professione legale ed è membro di numerose associazioni professionali. 
Nel campo degli studi sulle religioni nel 1988 ha fondato con altri il CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), oggi la maggiore istituzione europea del settore, di cui è tuttora direttore. Il CESNUR organizza ogni anno un convegno internazionale e dispone a Torino di una biblioteca aperta al pubblico di oltre ventimila volumi. Oltre alle numerosissime pubblicazioni, e alla cura di una monumentale Enciclopedia delle religioni in Italia (Elle Di Ci) con PierLuigi Zoccatelli, la sociologa argentina Veronica Roldan e Nelly Ippolito Macrina, direttrice della Divisione dei culti diversi dal cattolico presso la Direzione generale degli affari di culto del Ministero dell'Interno, Massimo Introvigne ha tenuto corsi in università italiane e straniere sulla sociologia e la storia dei movimenti religiosi, prima presso la Facoltà teologica dell'Italia meridionale quindi al Pontificio ateneo Regina Apostolorum di Roma. 
Esponente nazionale di Alleanza Cattolica e collaboratore di Cristianità, da molti anni si interessa di avvenimenti culturali italiani, tra l'altro con una collaborazione regolare al quotidiano cattolico Avvenire. 
Autore di più di ottanta volumi, la sua completa bibliografia è disponibile all'indirizzo Internet www.cesnur.org.



Fondamentalismo, tolleranza, proselitismo, libertà di religione, emarginazione: che peso hanno nella vita concreta delle varie realtà religiose del nostro paese? Qual è la situazione delle confessioni "minoritarie" in Italia riguardo a doveri e diritti? Va meglio o peggio rispetto ad altri paesi europei? E la legge cosa dice? 
Abbiamo rivolto alcune domande di questo tenore a Massimo Introvigne, direttore del Centro studi sulle nuove religioni. Ecco il rapido profilo che è derivato dalle sue risposte.



In Italia c'è una vera libertà di religione o le dichiarazioni di tolleranza e rispetto religioso sono solo di facciata? 
In Italia la libertà religiosa è maggiore che in altri paesi, come la Francia o la Germania. Sul piano giuridico non ci sono leggi "anti-sette" come quella francese, non ci sono commissioni parlamentari o governative contro le "sette", non ci sono istituzioni dello Stato che lottano contro le "sette". C'è una pericolosa proposta di legge sulla manipolazione mentale, ma è ferma e gli stessi promotori sembrano disponibili a rimeditarla e precisarla. Dunque sul piano giuridico la situazione italiana è fra le migliori al mondo. Tuttavia echi di quanto accade all'estero arrivano facilmente ai media e soprattutto a certe trasmissioni televisive. Dal punto di vista dei media la situazione italiana è assai più simile a quella di altri paesi per quanto riguarda la retorica sulle "sette" e, quindi, le violazioni sostanziali del principio di libertà religiosa.



Circa il rapporto tra religione e stato: quale è la situazione oggi dal punto di vista legislativo? A che punto è la nuova legge* in via di approvazione? 
La nuova legge è stata stravolta da emendamenti peggiorativi dovuti al clima di paura verso le minoranze creato dagli eventi dell'11 settembre 2001. Così com'è ora, dopo gli emendamenti, le stesse minoranze protestanti che l'avevano caldeggiata preferiscono che non sia portata in aula.



Qual è la situazione in altri paesi europei? Cosa pensa in particolare della legislazione francese? 
La situazione francese dal punto di vista legislativo è probabilmente la peggiore del mondo in un paese democratico. Praticamente qualunque minoranza che disturbi il governo di turno può essere accusata di praticare la manipolazione mentale (una nozione che non ha alcuno statuto scientifico preciso), perseguitata e sciolta. Tuttavia la magistratura ha mostrato qualche resistenza ad applicare la draconiana legge anti-sette del 2001. Più in generale la Francia è rimasta isolata nella difesa di un principio anacronistico di laicismo che deriva dalla Rivoluzione del 1789 e che è un fenomeno unico al mondo.



Di fronte alla propagazione, tutte le religioni nel corso della storia si sono comportate nello stesso modo? 
Certamente no. Vi sono religioni che, almeno a partire da una certa fase della loro storia, non solo non hanno cercato nuovi convertiti ma hanno cercato di scoraggiare chiunque dal convertirsi. È il caso dell'Ebraismo ortodosso, dove il candidato alla conversione deve superare un vero e proprio percorso a ostacoli, spesso insuperabile. Altre religioni si ritirano in enclavi separate dalla società e limitano al massimo i contatti con gli estranei. Ma è vero che la maggioranza delle religioni sono missionarie.



Perché la parola "proselitismo" ha spesso un'accezione negativa? 
Perché nel dialogo ecumenico fra cattolici, ortodossi e protestanti è invalso l'uso di distinguere fra "missione", condotta nel rispetto della religione altrui, e "proselitismo", che cerca di convertire a una nuova religione denigrando e diffamando la religione del potenziale convertito. Il problema è che la distinzione fra "buona" missione e "cattivo" proselitismo è chiara sui libri degli ecumenisti, molto meno nella pratica. E che non manca chi pesca nel torbido - come certe chiese ortodosse che in nome dell'identità nazionale chiedono nell'Europa dell'est leggi che le proteggano dalla concorrenza - e chiama proselitismo qualunque tipo di attività missionaria.



In quanto sociologo delle religioni, quale scenario ipotizza per il futuro? 
Penso che riderà bene chi riderà ultimo, e che saranno le religioni a ridere per ultime. È il laicismo che oggi rischia l'estinzione, non la religione e tanto meno la religione "forte", che appare quasi ovunque in crescita.



Quale scenario teme? 
Il "ritorno di Dio", il successo di forme di religione forte, la forza dei movimenti chiamati fondamentalismi, il permanere della religiosità individuale sono tutti fenomeni inevitabili e irreversibili. I poteri politici laicisti non possono impedirli; ma possono causare enormi sofferenze individuali nel vano tentativo di opporsi a questo prepotente ritorno del religioso.



Quale auspica? 
Auspico una presa di coscienza, da parte delle religioni, che il loro nemico comune, il laicismo, è in rotta. Ma che rischiano perfino di rivitalizzarlo se non riescono a convivere pacificamente tra loro, mostrando al mondo che religione "forte" non è necessariamente sinonimo di intolleranza, e meno ancora di terrorismo.



* Ci si riferisce al disegno di legge in materia di libertà religiosa e abrogazione della attuale legislazione sui culti "ammessi", come vengono definiti i culti diversi da quello cattolico in riferimento al concetto di religione dello stato contenuto nei Patti Lateranensi. In sostanza molte delle norme del presente provvedimento tendono a estendere a tutte le confessioni religiose quelle garanzie riservate alla religione cattolica o alle confessioni con le quali sono state stipulate delle intese con lo stato.



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Religioni e stato in Italia e in Europa

La propagazione

PAUL ELUARD (1895-1952)
da Au rendez-vous Allemand

Far vivere

Erano pochi che vivevano nella notte
Sognando del cielo materno
Erano pochi ad amare la foresta
Credendo al legno ardente.
Il profumo dei fiori li faceva beati
La nudità dei loro desideri li velava

Univano nel cuore il respiro misurato
con quel poco di ambizione alla vita naturale
Che cresce nell'estate come un'estate più forte

Univano nel cuore la speranza di un tempo
Lontano che da lontano saluta un altro tempo
E amori più ostinati del deserto

Pochissimo sonno bastava
Per renderli al sole futuro
Duravano e sapevano che vivere fa eterni

Dal buio dei bisogni generavano luce

*
Erano in pochi
Furono folla a un tratto

È così da sempre

da Le dur désir de durer

Non verremo alla meta ad uno ad uno

Non verremo alla meta ad uno ad uno
Ma a due a due. Se ci conosceremo
A due a due noi ci conosceremo
Tutti, noi ci ameremo tutti e i nostri
Figli un giorno rideranno
Della leggenda nera dove un uomo
Lacrima in solitudine.

WALT WHITMAN (1819-1892)
da Foglie d'erba

In questo momento in cui siedo pensoso e solitario

In questo momento in cui siedo pensoso e solitario,
soffrendo
So che altri in altre terre sono pensosi
stanno soffrendo
E che potrei vederli alzando gli occhi in Germania,
Italia, Francia, Spagna
O più lontano, in Cina, in Russia fino al Giappone, parlando
altri dialetti
E so che se potessi conoscerli saprei
attaccarmi a loro come a quelli delle mie parti
So che ci ameremmo e saremmo fratelli
So che sarei felice insieme a loro

50

C'è questo in me - non so cosa sia - so che c'è.

Contorto, sudato - poi calmo col corpo più fresco -
E dormo - dormo a lungo.

Non lo conosco - non ha nome - è una parola non detta
Non c'è in nessun dizionario, simbolo, espressione.

Qualcosa lo fa girare più che la terra su cui giro,
La creazione è l'amica il cui abbraccio mi sveglia
a contemplarlo.

Potrei dire di più, probabilmente. Provare! Io difendo
i miei fratelli e sorelle.

Vedete? Sorelle, fratelli,
Non è caos non è morte - è forma, disegno, unione - è vita
eterna - è Felicità.

FERNANDO PESSOA (1888-1935)

Come un vento nella foresta,
la mia emozione non ha fine.
Nulla sono, nulla mi resta.
Non so chi sono per me.

E come tra le alberete
c'è un grande fruscio di fogliame
anch'io agito segreti
nel fondo della mia immagine.

E il grande rumore del vento
che le foglie coprono di suono
mi spoglia del pensiero:
sono nessuno, temo di essere buono.

da Poemi completi

XLVIII

Dalla più alta finestra della mia casa
con un fazzoletto bianco dico addio
ai miei versi che partono per l'umanità.

E non sono lieto né triste.
È questo il destino dei versi.
Li ho scritti e devo mostrarli a tutti
perché non posso fare altro,
come il fiore non può nascondere il colore,
né il fiume nascondere che scorre,
né l'albero nascondere il frutto.

Vanno lontano come già nella diligenza
e io senza volerlo provo una pena
come dolore nel corpo.

Chi sa chi li leggerà?
Chi sa in che mani andranno?

Fiore, mi ha colto il mio destino per gli occhi.
Albero, mi strapparono i frutti per le bocche.
Fiume, il destino della mia acqua era non restare in me.
Mi sottometto e quasi mi sento allegro,
quasi lieto come chi si stanca della tristezza.

Andate, andate via da me!
Passa l'albero e rimane disperso per la Natura.
Appassisce il fiore e la sua polvere dura sempre.
Scorre il fiume e sfocia nel mare e la sua acqua
è sempre quella che è stata sua.

Passo e resto, come l'Universo.

SIMONE WEIL (1909-1943)

La porta

Aprite dunque la porta e vedremo i verzieri
Berremo la loro fredda acqua che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.

Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete sovrasta.
Soffriamo, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l'abbatteremo coi nostri colpi.
Incalziamo e spingiamo ma la barriera è forte.

Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.
Guardiamo la porta, è chiusa, intransitabile.
Fissiamo lo sguardo, nel tormento piangiamo
Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

La porta è davanti a noi, a che serve desiderare?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio

Che nessun fiore apparve, né i verzieri,
Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce
Apparve all'improvviso, da parte a parte colmò il cuore,
Lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.

MAGDA ISANOS (1916-1944)

Mattino di primavera

Esordio di primavera. Pianure
sulle quali trabocca la prima luce
rami pallidi, tremuli sul cielo.
Ora il mattino bacia le finestre.

Dico «vita» e prende a battere il cuore
veloce, come un uccello colto da paura.
Fuori la notte di marzo sbianca a poco a poco
e spuntano alberi e torri.

È giorno e mi aspettano, lontano,
case e uomini col loro senso ricco e triste.
Ognuno avrà ben presto un'ombra
scura come i pensieri nascosti, un'ombra.

Il sole griderà al mondo «Esisti...».
E tutte le cose apparterranno al giorno.
Anche le tombe nel cimitero di campagna
saranno come piccoli giardini screziati.

Cose. Voci di donne, quasi canti.
Finestre aperte. Passeri sui tetti. Festoni.
Qualcuno litiga. Il lattaio posa la zangola
e dice:
«Buon giorno, signorina Magda!»...

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La propagazione

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