Rielaborazione della lezione di Katsuji Saito

Riconoscere la sacralità della vita è il cuore e il fondamento del Buddismo.
Tale sacralità, che rende la vita infinitamente degna di rispetto, si basa sull'esistenza di una natura libera, forte e pura che appartiene a ogni essere umano.
Per questo motivo Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale, quando si rivolge a persone che non conoscono questa religione parla di "umanesimo buddista".
Nel Sutra del Loto si afferma a gran voce che tutti gli esseri viventi e tutti i fenomeni esistenti possiedono una natura comune che è la stessa dell'intero universo. E che in quanto esseri umani tutti noi abbiamo la stessa potenzialità di percepire dentro di noi e vedere negli altri tale natura comune, definita da Ikeda "vera identità positiva dell'essere umano" e in termini buddisti chiamata Buddità.
Poiché in ogni essere umano alberga questa natura meravigliosa, creativa e illimitata, ognuno è degno del massimo rispetto.
Noi che pratichiamo il Buddismo abbiamo il compito, lasciatoci da Nichiren Daishonin, di disperdere l'illusione che porta a non riconoscere questa realtà nella nostra vita e in quella degli altri. E di tradurre concretamente tale consapevolezza facendo leva sul vero potenziale dell'essere umano in ogni situazione.
Abbiamo anche il compito di condividere con le altre persone questo meraviglioso ideale, e per fare ciò è necessario essere convinti dell'esistenza di questa grandezza della vita, avendola cercata e trovata in prima persona. Allora saremo in grado non solo di parlarne, ma anche di farlo con naturalezza, con parole nostre.

Le pagine che seguono sono una rielaborazione della lezione sulla Dignità della vita tenuta da Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della Soka Gakkai internazionale, durante il corso europeo di studio dello scorso luglio, con il successivo contributo di Marta Bonomo, Francesco Santangelo e Giulia Savarese.

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La dignità della vita

Per vivere in armonia con la nostra vera natura e con la realtà che ci circonda è di fondamentale importanza chiarire l'ampiezza e la profondità del concetto di "dignità della vita". Daisaku Ikeda ne parla spesso con vari personaggi della cultura, usando un linguaggio "laico" per dialogare su questi temi con uno spettro più ampio possibile di persone. Nei dialoghi con Arnold Toynbee (1972) individua tre punti fondamentali in base ai quali il Buddismo considera sacra la vita

I tre punti fondamentali in base ai quali il Buddismo considera sacra la vita

Attualità del tema 

Quando Daisaku Ikeda vuole esprimere in termini laici e universali l'immensa portata del concetto di "natura di Budda" parla di grandezza, sacralità o dignità della vita.
Di dignità della vita si parla in molte occasioni, per esempio quando si tratta di affermare quali siano i diritti umani da rispettare universalmente. Del resto i diritti umani nascono proprio dal riconoscimento dell'uguale e incondizionata dignità delle vite individuali.
Si parla di dignità della vita anche quando è in discussione cosa sia lecito e cosa non lo sia. Per fare un esempio italiano recente, se ne è dibattuto a proposito della questione delle impronte digitali dei bambini rom, ma vale anche quando si affronta il problema della pena di morte.
Ci sono tante occasioni in cui è necessario riaffermare la dignità della vita individuale, minacciata da ingiustizie o discriminazioni giustificate dalla "ragion di stato" o da motivi economici. Ma nonostante si tratti di un argomento affrontato frequentemente nella società, e il senso comune ne riconosca l'importanza, il mondo è pieno di violazioni della dignità della persona.
Da ciò si può capire quanto sia importante e urgente per l'umanità chiarire l'ampiezza e la profondità di questo concetto, che definisce chi siamo e come si colloca la nostra vita nell'universo.
Ikeda ne parla spesso, sia nei dialoghi con politici, filosofi, letterati e scienziati sia nelle sue Proposte di pace, usando un linguaggio per così dire "laico", comprensibile anche a chi non appartiene alla sfera buddista. Nella Proposta di pace del 2003 invitava per esempio a «ripristinare la nostra sensibilità nei confronti della vita».
Studiare come Ikeda tratta questo tema in termini laici può essere doppiamente utile: per rileggere anche attraverso i nostri parametri culturali i concetti della religione che abbiamo abbracciato e per capire come possiamo dialogare su questi argomenti non solo in termini strettamente "buddisti".

I dialoghi con Toynbee

La prima occasione che ebbe Ikeda di parlare del Buddismo con persone di cultura non buddista furono i suoi dialoghi con lo storico inglese Arnold Toynbee, iniziati nel 1972. Nel volume che li raccoglie, tradotto in italiano con il titolo Dialoghi, l'uomo deve scegliere (Bompiani, 1988), vengono trattate varie questioni sulle quali l'umanità dovrebbe riflettere; tra queste, i temi della sacralità della vita e della dignità dell'essere umano sono centrali.
In particolare, analizziamo tre concetti chiave trattati nel dialogo.

Indipendenza dell'essere umano: il "vero io"
Scrive Ikeda: «La meta a cui tendono gli insegnamenti buddisti è ristabilire la sostanziale indipendenza dell'essere umano, vale a dire la sua autonomia in termini di karma personale, di società e di ambiente naturale. L'indipendenza dell'individuo è detta condizione o mondo di Budda e si manifesta nei confronti degli altri sotto forma di compassione, chiamata stato o mondo di Bodhisattva» (A. Toynbee e D. Ikeda, op. cit., p. 351).
Qui si afferma esplicitamente che scopo del Buddismo è stabilire la sostanziale indipendenza dell'essere umano, definita come una condizione vitale che non dipende da eventi dell'ambiente circostante; tale condizione vitale si manifesta attraverso un comportamento compassionevole verso gli altri.
Da un confronto recente tra traduttori, sembra che l'espressione "sostanziale indipendenza dell'essere umano" possa essere resa meglio con "vera natura positiva dell'essere umano" o "vero io". Dobbiamo ricordare che in questo dialogo Ikeda sta cercando di esporre il Buddismo a una persona che non conosce la terminologia buddista, e quindi usa espressioni comprensibili anche a un orecchio esterno. In realtà quella che nei dialoghi è definita "sostanziale indipendenza dell'essere umano" (o "vero io") non è altro che la Buddità.
Questo è esattamente il punto di partenza da cui si sviluppa la riflessione buddista sulla dignità della vita, ed è un concetto a noi molto familiare: alla base di ogni vita umana esiste un grande potenziale, la natura di Budda, ed è proprio questo il fondamento primo che ci consente di affermare che la vita è sacra. Il fondamento della sacralità di ogni singolo individuo sta proprio, quindi, in questa capacità di manifestare la condizione vitale della Buddità.

Destino e karma: la libertà della responsabilità
Il secondo punto si riferisce al concetto di karma, fondamentale nel Buddismo: «L'ipotesi buddista che la vita è eterna e in costante cambiamento è un'efficace spiegazione delle differenze che esistono tra i destini (karma) degli individui nati in questo mondo. Se non postulassimo un'esistenza precedente, il destino (karma) della persona che nasce adesso dovrebbe essere ascritto a un'entità assoluta sovrannaturale oppure al semplice caso. Negando l'esistenza di un essere sovrannaturale che lo governa, l'ipotesi buddista permette all'essere umano di prendere coscienza del fatto che egli stesso è responsabile di tutto ciò che gli accade e in tal modo gli restituisce la sua libertà originaria» (Ibidem, pp. 269-270). In questo brano, sempre per essere immediatamente comprensibile a un interlocutore che non conosce la terminologia buddista, Ikeda parla del karma utilizzando il termine "destino".
La visione buddista del karma nega da un lato che le nostre esistenze siano in balia del puro e semplice caso e, dall'altro, che siano governate da un essere sovrannaturale che agisce al di sopra delle nostre volontà.
Quindi, una volta eliminati il caso e gli esseri sovrannaturali, diviene chiaro che le differenze che ci sono fra le vite delle persone sono dovute alle azioni compiute dalle persone stesse; se quindi si analizza la vita attraverso la visione buddista del karma, si prende coscienza di essere responsabili in prima persona di tutto ciò che ci accade.
Qual è la conseguenza importante di ciò riguardo al tema della dignità della vita? È che si restituisce all'essere umano la libertà originaria di determinare la propria esistenza.

La vita complessiva. Oltre l'intelletto, la ragione e i sentimenti
La terza citazione dai Dialoghi è tratta da una sezione in cui Toynbee e Ikeda affrontano il tema del suicidio, rispetto al quale esprimono opinioni molto diverse. Ikeda ne parla dal punto di vista del Buddismo: «Non voglio negare la sua idea che gli esseri umani abbiano il diritto di uccidersi, ma insisto che la decisione di quando terminare la vita deve essere lasciata alla vita stessa, non alla ragione o ai sentimenti. L'intelletto, la ragione e i sentimenti sono attributi della vita, ma non ne costituiscono la sostanza. Essi debbono proteggere la vita affinché possa manifestarsi nel modo più nobile. Di conseguenza l'intelletto, la ragione e i sentimenti non hanno il diritto di distruggere la vita o di decidere quando essa deve terminare. Soltanto la vita stessa ha questo diritto» (Ibidem, p. 166).
In questo brano Ikeda sottolinea che l'intelletto, la ragione e i sentimenti sono qualità della vita, ma non sono la sua essenza; ne costituiscono solo la parte in superficie.
Anche in questo caso occorre una precisazione riguardo alla traduzione: là dove il presidente Ikeda parla di "vita" bisognerebbe intendere "vita complessiva" oppure "vita globale", perché secondo il suo pensiero le facoltà razionali, intellettive e le emozioni non costituiscono la totalità della vita. Quello che qui è importante sottolineare, dal punto di vista del nostro studio sulla dignità della vita, è che ciò che di solito indichiamo con il termine "vita" rappresenta in realtà solo una parte della vita stessa.
Se volessimo utilizzare una metafora molto nota, potremmo riferirci all'immagine dell'iceberg (già usata da Freud per descrivere la mente umana). Nell'iceberg la parte emersa è circa un decimo del totale, e la maggior parte del blocco di ghiaccio è invisibile guardando in superficie. Analogamente, dalle parole del presidente Ikeda si intuisce come la vita abbia una portata molto più ampia di quella che generalmente si tende ad attribuirle; di conseguenza, ha anche una potenzialità e un valore molto più vasti di quanto in genere si immagini.
Inoltre, la parte per così dire invisibile a uno sguardo superficiale non riguarda solo qualcosa che è nascosto nelle nostre vite individuali, ma si riferisce a una dimensione più profonda dell'essere, grazie alla quale tutte le forme di vita sono strettamente interrelate.
Per riassumere, abbiamo individuato tre punti del pensiero del presidente Ikeda sulla sacralità della vita. Primo: nella vita di ogni persona c'è una "vera natura positiva" che il Buddismo chiama Buddità, che tutti possono percepire e manifestare nella propria esistenza e che si esprime come amore e compassione per la vita. Secondo, l'essere umano non vive in balia di eventi casuali o di un essere sovrannaturale ma, al contrario, ha la facoltà di determinare il suo destino (libertà originaria). Terzo, le facoltà mentali e i sentimenti con cui spesso ci identifichiamo sono solo una parte della vita ma non ne rappresentano la totalità: la vita ha una dimensione molto più ampia.
In sostanza, possiamo dire che i tre brani citati tracciano una sorta di "identikit della vita globale" grazie al quale cominciamo a vedere sotto una prospettiva nuova quella che chiamiamo vita: una vita che ha grandi potenzialità, che è libera, che è più vasta di quanto pensiamo. Si iniziano così a chiarire i fondamenti in base ai quali il Buddismo considera sacra la vita stessa.

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Libera e grande

Nichiren individua in Shakyamuni tre aspetti che rendono la sua comprensione della vita (Illuminazione) infinitamente vasta e profonda. Grazie a questa visione, che ogni individuo può sviluppare, il Budda riconosce la propria vita e quella di tutti gli esseri come la cosa più sacra e degna, onnicomprensiva, eterna e senza confini

Il Budda riconosce la propria vita e quella degli altri come la cosa più sacra e degna

L'Illuminazione del Budda è il suo risveglio alla natura sacra della vita e al suo funzionamento. In particolare, ci sono tre aspetti di tale visione illuminata che la rendono infinitamente profonda e vasta e allo stesso tempo universale per tutti gli esseri - e dunque fondante rispetto al tema della dignità della vita.
Questi aspetti sono: la consapevolezza della simultaneità di causa ed effetto; l'acquisizione del vero io, o vera identità positiva dell'essere umano, che va oltre la vita e la morte; la sconfitta dell'oscurità fondamentale.
Sono tali realizzazioni - Nichiren Daishonin afferma nel brano che segue - e non una qualche natura assoluta che rendono Shakyamuni «una grande guida di tutti gli esseri viventi, un grande occhio, un grande ponte, un gran timoniere, un grande campo di fortuna». E continua: «I quattro santi e i tre asceti delle scritture e degli insegnamenti confuciani e brahmani sono considerati dei santi, ma in realtà sono persone comuni che non sono ancora riuscite a sradicare le tre categorie di illusioni. Sono chiamati saggi, ma in realtà sono come bambini che non comprendono il principio di causa ed effetto. Usando il loro insegnamento come una nave, potremmo mai attraversare il grande mare della nascita e della morte? Con il loro insegnamento come ponte, potremmo sfuggire al labirinto dei sei sentieri? Ma il Budda, il nostro grande maestro, ha superato persino il ciclo di trasmigrazione con cambiamento e avanzamento, per non parlare di quello di trasmigrazione con differenze e limitazioni. Egli può estirpare persino le radici dell'oscurità fondamentale, senza parlare dei rami e delle foglie delle banali illusioni del pensiero e del desiderio» (L'apertura degli occhi, RSND, 1, 196; cfr. SND, 1, 72).
Shakyamuni è un Budda perché si è risvegliato a questi tre aspetti fondamentali della vita, e perciò è degno del massimo rispetto. In realtà, questa natura degna di rispetto la possono manifestare tutti gli esseri umani, perché in ogni vita è insito questo potenziale. È qui che si trova il fondamento della sacralità della vita e della dignità dell'essere umano rivelate dal Buddismo.
Secondo il Buddismo l'esistenza sacra degna di rispetto è la vita di un essere umano che ha sperimentato e continua a sperimentare la Legge mistica. Non si tratta quindi di una vita assoluta o santa, prerogativa di qualche particolare essere speciale che ha la natura per essere rispettato. La sacralità e dignità della vita si fonda sulla certezza che ogni singolo essere umano è in grado di realizzare questi tre aspetti.
Guardiamoli nel particolare.

Comprendere la simultaneità di causa ed effetto
Nel Buddismo è fondamentale comprendere il principio di causalità, soprattutto rispetto al cambiamento della condizione vitale, che è ciò che rende possibile l'ottenimento della Buddità.
Secondo il Buddismo esistono due modi di considerare il principio di causalità: quello in cui tra la causa e l'effetto c'è un intervallo temporale (giapp. ingaiji) e quello in cui la causa e l'effetto sono simultanei (giapp. ingaguji).
Normalmente la relazione di causa ed effetto viene considerata non simultanea: se lancio un sasso (causa), prima o poi cadrà ed emetterà un suono (effetto). La teoria del karma a cui si riferiscono molte scuole buddiste, ma non quella del Daishonin, si basa su una relazione di causa ed effetto di non-simultaneità. La causa e l'effetto vengono visti come separati temporalmente e spazialmente: da ciò si evince come sia necessario, secondo questo punto di vista, un tempo molto lungo - vite dopo vite cercando di mettere buone cause - per cambiare il proprio karma, e non sia quindi ammissibile l'idea di una trasformazione karmica in una sola vita.
A questa visione si contrappone quella in cui la causa e l'effetto sono simultanei, nel senso che una causa contiene già dentro di sé un effetto latente, che nelle opportune condizioni si manifesterà in un certo modo. Ad esempio una palla lanciata verso l'alto contiene già in sé la potenzialità di cadere.
Ma il concetto di simultaneità di causa ed effetto ha implicazioni ancora maggiori. Esso è la diretta conseguenza del principio del mutuo possesso dei dieci mondi, secondo il quale tutti i fenomeni sono inerenti/compresi fra loro, e quindi possono trasformarsi l'uno nell'altro istantaneamente. Questo è il vero aspetto della vita e dell'universo. Come scrive Nichiren nel Gosho Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, «la vita in ogni singolo istante abbraccia il corpo e la mente, l'io e l'ambiente di tutti gli esseri senzienti dei dieci mondi e anche di tutti gli esseri insenzienti dei tremila regni: le piante, il cielo e la terra, fino al più piccolo granello di polvere. La vita in ogni singolo istante permea l'intero regno dei fenomeni e si manifesta in ognuno di essi» (RSND, 1, 3; cfr. SND, 4, 3).
Se qualsiasi fenomeno contiene l'intero universo, non solo ha in sé la potenzialità di qualsiasi trasformazione, ma possiede un valore inestimabile. Possiamo sentire questo immenso valore quando manifestiamo la condizione vitale del mondo di Buddità: nella nostra esistenza di comuni mortali, cioè rimanendo così come siamo, possiamo percepire che l'universo è un tutt'uno con la nostra vita. Questo tipo di comprensione è chiamata saggezza del Budda, ed è ciò che Ikeda definisce manifestazione del vero io o identità positiva sostanziale. La comprensione della relazione di simultaneità di causa ed effetto sottolinea l'autentica libertà e autonomia dell'essere umano.
Però la possibilità di utilizzare concretamente questa consapevolezza nella trasformazione della propria condizione vitale cambia a seconda della profondità o della superficialità con cui si osserva la propria vita. Per questo è importante, ogni volta che si affronta un problema o un ostacolo, una sofferenza o un desiderio, tornare ad assumere il punto di vista del Buddismo per il quale ogni fenomeno, ogni persona, sono correlati: si torna così alla consapevolezza che la causa della vittoria/felicità è nella percezione di ciò che esiste dentro la propria vita e non all'esterno.
Quando il dubbio sulla vera natura della vita è profondo viviamo nel mondo di Inferno, ma se apriamo la vita alla saggezza del Budda, che permette di capire il vero aspetto della realtà - cioè che la nostra vita non è separata dai fenomeni e quindi anche da tutte le persone che ci circondano - allora possiamo manifestare le stesse qualità del Budda, subito, nel presente. Nel momento in cui ci ricordiamo della vera natura della vita, in quello stesso istante la nostra condizione vitale diventa uguale a quella del Budda. Quando recitiamo Daimoku con forza e col desiderio di percepire la vera natura della nostra vita, istantaneamente possiamo manifestare la stessa condizione vitale del Budda. Questa trasformazione avviene in un attimo ed è per questo che la relazione tra Daimoku (causa) e manifestazione della Buddità (effetto) viene definita simultanea.

Acquisire il vero io o vera identità positiva dell'essere umano che va oltre la vita e la morte
Manifestare il vero io, o natura positiva sostanziale, permette di sperimentare un'autentica tranquillità nel ciclo di nascita e morte, cioè vivere la condizione interiore di gioia illimitata in cui "nascita e morte sono Nirvana".
Il concetto dei tre corpi del Budda può aiutarci a spiegare la relazione che secondo il Buddismo lega la realtà oggettiva, o vera natura della vita, la percezione di essa e la condizione vitale che si sperimenta grazie a tale percezione. La realtà oggettiva, o vera natura, è che la vita dell'individuo è immensa e comprende l'intero universo: questa è la Legge alla quale il Budda si è illuminato ed è definita "corpo del Dharma o della Legge"; si può percepire e godere di questa immensa realtà grazie alla saggezza o natura spirituale del Budda, detta "corpo di retribuzione" perché emerge come ricompensa allo spirito di ricerca nei confronti della Legge; da questa comprensione della vita, che anela alla realizzazione della propria e della altrui felicità, nasce naturalmente un atteggiamento compassionevole, detto "corpo manifesto", che rappresenta l'aspetto fisico del Budda.
Cosa significa questo? Che quando manifestiamo la condizione vitale della Buddità, pur rimanendo esseri comuni soggetti al ciclo di nascita e morte percepiamo la grandezza della nostra vita, proviamo un'immensa gioia e ci dedichiamo naturalmente alla felicità nostra e a quella degli altri. In ciò consiste vivere "le sofferenze di nascita e morte come Nirvana".

Sconfiggere l'oscurità fondamentale
La causa principale della sofferenza nel ciclo di nascita e morte è l'oscurità fondamentale, quella caratteristica della vita che impedisce di comprendere il vero aspetto della realtà, cioè l'immensità della propria vita e di quella degli altri.
Poiché l'oscurità fondamentale è inerente alla vita e ha la principale funzione di ostacolare l'Illuminazione, si deve lottare costantemente contro questa forza, che emerge proprio nel momento cruciale. Shakyamuni stesso fu attaccato dall'oscurità fondamentale, simboleggiata dal Demone del sesto cielo, proprio quando stava per conseguire l'Illuminazione.
L'oscurità fondamentale ci fa sentire la nostra vita piccola o impotente davanti agli eventi. Ci impedisce anche solo di provare a credere che la nostra vita sia in realtà senza limiti, con infinite possibilità di crescita, e dotata della massima capacità di gioire.
L'oscurità fondamentale si manifesta di solito attraverso i tre veleni, quegli aspetti della vita - definiti dal Buddismo avidità, collera e stupidità - che ci spingono ad agire e reagire alle situazioni in modo istintivo, eccessivamente emotivo, collerico e superficiale.
Per cambiare questi atteggiamenti non serve analizzare ogni avvenimento e cercare di correggere ogni singolo comportamento o reazione. Il Budda non estingue i desideri terreni uno a uno, ma con la luce della saggezza (cioè la comprensione della vera natura dell'universo) cancella l'oscurità fondamentale in un colpo solo.
In una vita dove è manifesta la natura di Budda, l'effetto dell'oscurità viene cancellato istantaneamente.

Per concludere, la comprensione della simultaneità di causa ed effetto, la manifestazione del vero io che va oltre la vita e la morte e la sconfitta dell'oscurità fondamentale sono gli elementi che conferiscono a Shakyamuni la prerogativa di essere definito e rispettato come il Budda. Poiché ogni singolo essere umano ha la potenzialità di manifestare questi tre aspetti, ogni individuo è degno del massimo rispetto.

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Perché il Budda è degno di rispetto

Nichiren svela lo strumento per realizzare nella vita concreta i tre aspetti dell'Illuminazione di Shakyamuni, basati sulla comprensione fondamentale dell'interrelazione di tutti i fenomeni. è un modo semplice, accessibile a tutti gli esseri umani, che contiene sia la causa sia l'effetto della Buddità: recitare Nam-myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon

Nichiren svela lo strumento per realizzare nella vita concreta i tre aspetti dell'Illuminazione di Shakyamuni

La saggezza del Buddismo non è teoria, ma nasce per essere tradotta in pratica nelle situazioni concrete della vita. Se finora abbiamo compreso, attraverso prima le parole di Ikeda e poi gli scritti di Nichiren, "perché" secondo il Buddismo la vita è sacra, adesso proviamo a vedere "come si fa" a portare nella nostra realtà di tutti i giorni l'ideale della dignità della vita realizzandolo concretamente. Se non riusciamo a vivere nei fatti quotidiani la vasta condizione vitale che abbiamo descritto in precedenza, questa resta una semplice costruzione intellettuale.
L'aspetto più importante di tale condizione vitale è che essa è raggiungibile non solo da persone fuori dal comune: anche i normali esseri umani possono conseguirla. Tutte le vite sono sacre, perché tutte hanno il potenziale per realizzare questa vasta condizione vitale, non solo chi è particolarmente dotato o saggio. Le qualità o virtù che nei sutra e nei Gosho sono attribuite ai Budda, ossia compassione, saggezza, coraggio, si manifestano nella vita degli esseri umani secondo le loro diverse attitudini e capacità.
Nichiren scrive: «[...] Le pratiche di Shakyamuni e le virtù che come conseguenza egli ottenne sono tutte contenute nei cinque caratteri di Myoho-renge-kyo. Se noi crediamo in questi cinque caratteri, ci saranno garantiti naturalmente gli stessi benefici che come conseguenza egli ottenne. [...] Il Budda Shakyamuni, che ha ottenuto la perfetta Illuminazione, è la nostra carne e il nostro sangue; le sue pratiche e i benefici che come conseguenza egli ottenne sono le nostre ossa e il nostro midollo» (L'oggetto di culto per l'osservazione della mente, RSND, 1, 325; cfr. SND, 1, 232).

La fede in Myoho-renge-kyo
Il Daishonin parla delle difficili "pratiche" seguite da Shakyamuni in quanto cause che hanno prodotto come effetto le "virtù" da lui conseguite. E continua affermando che, attraverso la fede in Myoho-renge-kyo, anche noi esseri comuni abbiamo la certezza di ottenere gli stessi benefici che Shakyamuni ottenne grazie alle sue pratiche.
Il beneficio - o virtù - ricevuto da Shakyamuni è la sua Illuminazione, la comprensione (fondamentale) che tutti i fenomeni, inclusa la sua vita, sono interrelati.
Per noi tale consapevolezza non è affatto immediata, perché la nostra abitudine mentale va nella direzione opposta, tendiamo cioè a pensare che ognuno di noi abbia una vita separata, che pur entrando in relazione con altre vite è comunque un'entità a sé.
Quindi ci serve un mezzo, una causa, per risvegliare tale consapevolezza. Questo mezzo è la fede.
Nichiren Daishonin ha istituito una pratica profonda ma al tempo stesso accessibile a tutti per l'ottenimento della Buddità, cioè per sviluppare questa consapevolezza della globalità.
In realtà, la pratica di "abbracciare i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo" contiene simultaneamente la causa e l'effetto della Buddità. Abbracciare Myoho-renge-kyo è la "causa". Mantenere un cuore che crede e recitare Nam-myoho-renge-kyo significa tradurre in azione la fede. E questo è l'"effetto".
Infatti non basta abbracciare la fede, fondamentale è mantenerla, cioè non abbandonarla davanti agli ostacoli. Perseverare nella fede e nella pratica, qualsiasi cosa accada, significa mantenere il beneficio della causa e dell'effetto dell'Illuminazione e stabilirlo nella propria vita come se fosse il proprio midollo. Facendo così, la nostra vita diventa quella di «Shakyamuni che ha ottenuto la perfetta Illuminazione».

Il Gohonzon
Nichiren ha superato grandi ostacoli, perseverato nella fede e propagato il Sutra del Loto, manifestando così la sua natura di Budda di perfetta Illuminazione. Il Gohonzon è l'iscrizione del mondo interiore che il Daishonin ha concretamente osservato e sperimentato, il vero aspetto della sua vita e dell'universo. In altre parole nel Gohonzon è iscritto il vero aspetto della vita, il vero io o vera identità positiva sostanziale dell'essere umano.
Recitando Nam-myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon possiamo manifestare il nostro vero io o vera identità positiva, e quindi percepire quanto la nostra vita sia legata, compenetrata, a tutte le altre forme di esistenza. Da questa percezione derivano gioia, saggezza e compassione. Il Buddismo di Nichiren Daishonin è lo strumento che ci permette di rivelare la natura originariamente sacra della nostra vita.
Ancora di più: il Gohonzon è l'appello di Nichiren Daishonin alla concretizzazione dell'ideale di stabilire il vero io in tutte le persone e la pace nel mondo. È il suo grido di speranza per l'umanità, una dichiarazione universale di pace e felicità per tutto il genere umano.
Avere fede nel Gohonzon, in altre parole, è credere nella potenzialità della natura suprema dell'universo (vero io/vera identità positiva) e nella sacralità della vita, e inoltre è la determinazione di rispondere all'appello del Daishonin di realizzare il suo ideale nella vita quotidiana. In questo senso Nichiren definisce il Gohonzon come «il vessillo della propagazione del Sutra del Loto», cioè il vessillo della propagazione di questo ideale della sacralità della vita e della lotta per eliminare l'illusione che porta a non credere o non vedere la vera natura della vita, questa vera identità positiva dell'essere umano. Questo è ciò che sta facendo la Soka Gakkai.
Scrive Ikeda in un saggio degli anni '80 dal titolo L'umanesimo buddista: «Viene spesso detto che la vita di un solo individuo è più importante del mondo intero. Questa è la visione del Buddismo, in particolare del Buddismo di Nichiren Daishonin. Noi sosteniamo che il vero pacifismo consiste nel risveglio individuale alla forza e alla saggezza che esistono nella profondità della vita di ogni persona. Il nostro movimento attribuisce perciò un enorme valore al singolo individuo e non all'essere umano in astratto, e colloca il suo campo d'azione nella vita di tutti i giorni: la famiglia, la società, il posto di lavoro» (Il Nuovo Rinascimento, febbraio 1987, pp. 7-8).

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Come si fa? Pratiche e virtù

A questo punto non resta che decidere. Decidere di crederci oltre ogni limite deciso dalla mente. E provare a vivere le nostre giornate coerentemente con le cose capite fin qui e che ci hanno ispirato. In assoluta mancanza di semplici ricette, ma con la fiducia di saper nuotare nel mare di questa complessità, perché fatti della stessa pasta di Shakyamuni e di Nichiren

Alla fine non resta che decidere e sperimentare, coerentamente a quanto appreso fin qui

Nichiren come esempio. Nichiren come guida. Leggendo le sue parole, nelle lettere scritte ai discepoli, vediamo quanto egli desse valore alle singole problematiche individuali, incoraggiando ciascuno in modo appropriato alla condizione del momento, senza generalizzazioni o astrazioni, eppure con parole di portata universale capaci di ispirarci ancora oggi.
Cosa dice ai suoi discepoli, come li incoraggia, quando si tratta di prendere decisioni che hanno a che fare con la cura della propria vita, la salute, la salvaguardia della propria incolumità e la protezione della propria persona?
Spiega ad esempio alla signora Toki, che stava trascurando la sua malattia, il valore inestimabile della vita individuale: «Se non sei disposta a fare sforzi per guarire, sarà difficile curare la tua malattia. Un giorno di vita è molto più prezioso di tutti i tesori del sistema maggiore di mondi, quindi, prima di tutto, devi dimostrare la volontà (di guarire). [...] Hai ancora molti anni davanti a te, e inoltre hai incontrato il Sutra del Loto. Se vivi anche un solo giorno di più puoi accumulare una fortuna ancora più grande. Quant'è preziosa la vita!» (Il prolungamento della vita, RSND, 1, 848; cfr. SND, 4, 90).
Del resto, abbiamo visto che una delle prove della fede è riconoscere che la nostra vita è originariamente sacra, e per questo vivere conformemente alla fede significa sforzarsi di far risplendere la propria vita nella realtà. Ikeda, spiegando questo Gosho, afferma: «Riconoscere la sacralità della vita è il cuore del Buddismo» (Buddismo e società, n. 127, p. 17) e sottolinea che, proprio alla luce dell'infinito valore che ha la vita umana, coloro che credono nel Sutra del Loto dovrebbero impegnarsi a vivere il più a lungo possibile.
Strettamente legata al tema del valore della vita è la definizione di "vita dignitosa", argomento di grande attualità. Lo sviluppo odierno della medicina ha reso infatti possibile il prolungamento artificiale della vita, aprendo una serie di questioni difficili da risolvere, come quelle della morte cerebrale o dell'accanimento terapeutico, arrivando a rendere problematica la definizione stessa di vita. Ad esempio, si può definire vita a tutti gli effetti quella di chi ha perso il controllo psico-fisico di sé? Come valutare un eventuale testamento biologico di chi, in possesso delle proprie facoltà mentali, si appella alla cosiddetta "morte dignitosa" rifiutando su di sé il prolungamento artificiale della vita che ne intacchi la dignità, richiedendone l'interruzione in condizioni di non autosufficienza grave?
Secondo il Buddismo "la dignità della vita" consiste nel manifestare la sua natura fondamentale (vero io). Nel corso dell'esistenza noi "completiamo" la nostra vita, la manifestiamo pienamente, e quindi, come scrive Ikeda, «la decisione di quando terminare la vita deve essere lasciata alla vita stessa, non alla ragione o ai sentimenti».
È un'affermazione che induce ad approfondire la riflessione, per non giudicare la vita in base a ragionamenti dogmatici o "categorici" e per apprezzarne pienamente la grandezza.
In un altro scritto, I tre tipi di tesori, Nichiren incoraggia Shijo Kingo a non risparmiarsi, utilizzando la sua vita al cento per cento. «È raro nascere umani. Il numero di coloro che sono dotati di un corpo umano è piccolo come la quantità di terra che può stare su un'unghia. E mantenere in vita un corpo umano è difficile come per la rugiada restare sull'erba. Ma è più importante vivere un solo giorno con onore piuttosto che vivere sino a centoventi anni e morire in disgrazia. Vivi in modo che tutte le persone di Kamakura lodino Nakatsukasa Saburo Saemon-no-jo per la devozione al suo signore, al Buddismo e per il suo rispetto e attenzione nei confronti degli altri. Più preziosi dei tesori di un forziere sono i tesori del corpo e prima dei tesori del corpo vengono quelli del cuore. Dal momento in cui leggerai questa lettera sforzati di accumulare i tesori del cuore!» (RSND, 1, 755; cfr. SND, 4, 177).
Se da un lato il Daishonin incoraggia la signora Toki a vivere anche un solo giorno in più e insegna l'importanza di una vita lunga, in questa lettera afferma che è più importante vivere un solo giorno con onore piuttosto che vivere a lungo inutilmente. Sembrano due concetti in contraddizione, ma il messaggio di Nichiren è: non confondere l'obiettivo primario e quello secondario. La salute e la longevità non hanno valore di per sé, ma servono per vivere in maniera significativa.
Non risparmiarsi significa quindi vivere «accumulando i tesori del cuore», valorizzando la propria vita e avendo a cuore quella altrui in quanto manifestazioni della Legge mistica, e ciò significa manifestare pienamente la propria umanità.

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La dignità della vita 2

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