«Solo il Sutra del Loto rivela che una donna può ottenere la Buddità e perciò ho concluso che questo sutra è l'unico che permette di ripagare il debito di gratitudine per la bontà di una madre. Mi auguro che tutte le donne recitino il Daimoku di questo sutra per ripagare questo debito».

Nichiren Daishonin, dal Gosho Il sutra della vera riconoscenza (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 8, p. 110)

«Voglio sottolineare in modo particolare il ruolo delle donne nella creazione di una cultura della pace. Per tutta la lunga storia dell'umanità, le donne sono quelle che hanno maggiormente sofferto ogni volta che la società è stata devastata dalla guerra, dalla violenza, dall'oppressione, dalla violazione dei diritti umani, dalle malattie e dalla carestia.
Ciononostante, sono state le donne che hanno perseverato nell'indirizzare la società verso il bene, la speranza e la pace. Le donne possiedono le chiavi per aprire un futuro pieno di speranza, come accentuò il Mahatma Gandhi: "Se per forza si intende la forza bruta, allora la donna è davvero più debole dell'uomo... Se la nonviolenza è la legge del nostro essere, il futuro è delle donne"».
D. Ikeda, Proposta di pace 2000 (DuemilaUno, n. 80, p. 14)

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Il secolo delle donne

Uomini e donne sono diversi: non c'è "più" o "meno" ma "altro". Oggi l'"altro" che appartiene alle donne è indicato da Daisaku Ikeda come un ingrediente di cui c'è particolarmente bisogno. Per trovare un modo nuovo di stare al mondo, nella complessità e moltitudine di esigenze. Per costruire un secolo di pace autentica. Questo è un messaggio che non riguarda solo le donne ma anche gli uomini



Uomini e donne sono diversi; oggi l'"altro" che appartiene 
alle donne è indicato da Daisaku Ikeda come 
un ingrediente di cui c'è particolarmente bisogno



di Gianna Mazzini



Mentre preparavamo questo numero abbiamo chiesto a un compagno di fede che fa parte della redazione: «Che faresti se nel prossimo numero della rivista ci fosse uno speciale dal titolo "Il secolo delle donne"»? Ci ha risposto: «Lo darei a mia moglie». 
Abbiamo deciso di partire da qui. 
Perché era proprio quello che non volevamo. Perché quello che il presidente Ikeda va dicendo con sempre maggiore insistenza quando parla del secolo appena cominciato come "secolo delle donne", non riguarda solo le donne, ma anche gli uomini. 
Dal 1983, il 26 gennaio di ogni anno, in occasione del giorno commemorativo della Soka Gakkai Internazionale, Ikeda pubblica una Proposta di pace che invia sia alle Nazioni Unite che a personalità di tutto il mondo. 
Questi scritti prendono in esame i problemi che l'umanità si trova ad affrontare e mettono in risalto, oltre a proposte di soluzioni, anche basi filosofiche che possono sostenere e promuovere un radicale cambiamento. 
Nella Proposta del 2001, intitolata Il grande movimento verso il secolo della vita, Ikeda scrive: «Sono certo che nel XXI secolo l'entrata in scena delle donne avrà una portata che andrà al cuore della civiltà umana, e si rivelerà più importante e vitale dell'ottenimento della parità legale ed economica». 
E ancora: «Con le donne come capofila, quando ogni singolo individuo sarà consapevole e impegnato, saremo in grado di impedire che la società ricada in una cultura della guerra, e potremo sviluppare e concentrare le nostre energie per la creazione di un secolo di pace». 
È un desiderio, quello del presidente Ikeda, che nasce dall'urgenza di dare risposte concrete e diverse da quelle che lo scenario mondiale sta offrendo. 
Stiamo vivendo un momento storico cruciale. Con una salita vorticosa della logica della violenza e della sopraffazione, quella che dice: il nemico va schiacciato. Dobbiamo vincere. Stanare, scacciare, eliminare. 
È un modo, questo, di intendere e vedere la vita che ha imperato per secoli. La storia tutta ce lo testimonia. 
Solo che ora non si può più. Se vogliamo continuare a vivere non si può più. 
Dice il presidente Ikeda: «Piuttosto che al conflitto, l'esclusione e la forza, marchi caratteristici dell'ideologia e tradizionalmente legati alla psicologia maschile, le donne sono naturalmente orientate verso valori come l'unità e l'armonia, verso quella coesistenza creativa e quell'autonomia fondamentali per un secolo di vita [...]. I valori, i princìpi e le ideologie che vengono attualmente chiamati in causa sono tutti prodotti di società dominate dal maschio. Ma dal momento che tali società sono in continua evoluzione, e ci si interroga sui loro fondamenti razionali, vengono sempre più alla ribalta valori come vita, cuore e spirito, tutti intimamente legati al "principio femminile"». 
Uomini e donne sono diversi. E diversi non vuol dire che c'è "più" o "meno" ma "altro". 
Nel mondo di oggi, l'altro che appartiene alle donne è indicato dal nostro presidente come un ingrediente di cui c'è particolarmente bisogno. Perché si trovi un nuovo modo di stare al mondo, che tenga conto della complessità e della moltitudine di esigenze. Perché si costruisca un secolo di pace autentica, che non sia l'equilibrio fra gli eserciti ma una vera, solida, magnifica, capace, alternativa di felicità. 
A p. 22 di questo speciale c'è Virginia Woolf in un testo straordinario, Pensieri di pace durante un'incursione aerea. Lei, la grande scrittrice inglese, scrive durante un bombardamento su Londra. Siamo agli inizi della seconda guerra mondiale. Fuori le bombe, dentro i pensieri. È una lettura sconvolgente, che cambia la prospettiva. Che emoziona, fa riflettere. Sposta. 
«Specificamente, - scrive il presidente Ikeda nella Proposta di quest'anno - credo che vi sia nelle persone una sorta di erosione e putrefazione progressive delle radici della consapevolezza del significato della propria umanità, cioè del modo in cui gli individui si definiscono e si relazionano a chi è differente da loro». 
Ikeda fa luce sulla relazione con "l'altro da sé". Dice che perdere di vista l'altro compromette la piena esperienza dell'io. E dov'è la specificità delle donne su questo tema? 
C'è in ogni donna, anche in quella più sprovveduta e inconsapevole, una certezza: quella di essere parziale. Quella di far parte di un mondo, di una realtà dove c'è sempre qualcun altro. La madre, il padre, i figli, il marito, i nipoti, un amore. Spesso questa cosa viene vissuta da una donna come una mancanza, una "dipendenza", un'incompiutezza. Ma la consapevolezza che c'è "altro" oltre a sé può rivelarsi un talento. 
Ed è una consapevolezza iscritta nel corpo. Non dipende dal carattere, dalle esperienze. È dentro. 
«Sembra proprio che le donne siano più esperte nella pacifica arte del dialogo da persona a persona. È negli scambi, nelle relazioni della vita quotidiana, simili al ritmo costante del sole che sorge e illumina ogni giorno, che si forma una nuova consapevolezza e si crea un valore autentico e duraturo. Questo processo graduale di trasformazione nell'ambito della continuità e della concretezza della vita quotidiana contrasta nettamente con il sovvertimento violento della rivoluzione». 
A p. 16 c'è un ritratto di Hazel Henderson. 
H. Henderson è una donna che ha dedicato le sue capacità a ripensare radicalmente l'economia e a scoprire al suo interno una nuova branca, l'economia dell'amore: un'economia fatta di volontariato, di lavoro domestico, di cooperazione, di educazione e crescita di bambini e bambine, di condivisione e cura. Il valore di beni e servizi prodotti dall'economia dell'amore ammonta, secondo le stime del rapporto delle Nazioni Unite del 1995, a sedici trilioni di dollari. Ma è totalmente assente dalle statistiche che misurano la ricchezza dei paesi. 
Viviamo un momento storico particolare anche perché la virtualità sta invadendo ogni campo dell'umano sentire. E se è vero che questo arricchisce le nostre possibilità di accorciare lo spazio e il tempo e moltiplicare le relazioni, le informazioni e persino le esperienze, dall'altro lato può immiserire la sensibilità nei confronti della vita che pulsa, che sta nei corpi e nei gesti. Nell'aria e nell'acqua. 
«Le capacità intellettuali degli esseri umani si sono enormemente dilatate mentre quelle affettive e di sensibilità si sono atrofizzate... La soluzione è ripristinare la nostra sensibilità nei confronti della vita, la nostra consapevolezza tangibile delle realtà del vivere quotidiano, e in ciò sono convinto che le donne possano giocare un ruolo particolarmente importante. Gli uomini tendono a diventare schiavi delle proprie ampie concettualizzazioni e astrazioni, mentre in tutte le epoche le donne sono rimaste molto più legate ai ritmi dell'ecosistema naturale». 
Dunque occorre ripristinare la nostra sensibilità nei confronti della vita. La nostra consapevolezza tangibile delle realtà del vivere quotidiano. E Ikeda riconosce nelle donne una capacità peculiare. Ancora una volta quella che potrebbe sembrare una inadeguatezza diventa un talento. 
A p. 26 c'è un'intervista a M. Vasantha, dirigente di ASSEFA India, un'organizzazione non governativa che si ispira ai principi gandhiani del Sarvodaya (il bene di tutti), un ordine sociale dove il bene del singolo è racchiuso nel benessere di tutti. Un bel pensiero ma come si accorda con le urgenze e la realtà quotidiane? Quest'associazione, che ha cominciato nel 1978 assegnando ai contadini un prestito da restituire in due anni, oggi può contare tremila villaggi così strutturati. Poi, per riorganizzare secondo questo principio anche la cura alle creature piccole, ASSEFA chiese alle mamme di risparmiare una ciotola di riso al giorno per bimbi e maestre. Così nacque la prima scuola. Così sono arrivati ad averne mille e duecento di scuole, dalle materne alle pre-universitarie. E quarantamila tra studenti e studentesse. 
«Negli ultimi anni l'importanza di questo approccio a misura di vita - basato sul senso di realtà quotidiana proprio delle donne - è stata riconosciuta non solo in ambito economico ma anche in altri campi, come quello della pace e della sicurezza. [...] Il segretario generale dell'ONU Kofi Annan ha affermato che "la migliore strategia per la prevenzione dei conflitti è l'espansione del ruolo delle donne come costruttrici di pace". Se questo modo di pensare venisse adottato fino in fondo dalla comunità internazionale potremmo andare oltre la mera prevenzione del conflitto e l'alleggerimento delle tensioni, in direzione di una concreta e duratura trasformazione dell'attuale cultura di guerra in una nuova cultura di pace». 
A p. 24 il resoconto di un incontro che si è svolto il 20 giugno al Centro culturale di Milano, con Luisa Muraro, filosofa della differenza sessuale. 
Ora la parola a Sakae Takahashi, responsabile europea delle donne e delle giovani donne della Soka Gakkai. 




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Il migliore dei futuri

Spostare il mondo verso la pace

Il secolo delle donne

I pensieri di pace di Virginia Woolf

I pensieri di pace di Virginia Woolf

a cura di Tiziana Colusso

La scrittrice inglese Virginia Woolf (1882-1941) ha non soltanto rigenerato radicalmente le forme della scrittura, ponendosi come uno dei pilastri fondanti della letteratura europea del Novecento - con opere come Le onde, Gita al faro, Orlando, La signora Dalloway, Tra un atto e l'altro - ma ha saputo anche, con una lucidità che sembra avere l'eterna validità dei classici, ragionare sul proprio tempo e in particolare sulla catastrofe della guerra. Virginia ha vissuto in prima persona, con la sensibilità emotiva particolarmente intensa che la caratterizzava come donna e come scrittrice, le due grandi guerre mondiali. Le riflessioni sulla guerra, maturate in queste esperienze collettive ma anche personali - il nipote Julian era stato ucciso nella guerra di Spagna, dove era andato a combattere volontario contro i fascisti - sono state soprattutto riversate nel saggio Le tre ghinee, scritto tra il 1936 e il 1938 a partire dallo spunto di una richiesta di un'associazione antifascista circa i modi per contrastare l'avanzata del nazi-fascismo in Europa e l'avventura nefasta della seconda guerra mondiale.
Virginia Woolf, in questo saggio, collega con acutezza il ripudio del pensiero e della weltanschaung nazi-fascista e guerrafondaia con la consapevolezza del contributo che le donne possono dare per spostare la storia del mondo in direzione della pace. Come rileva la filosofa Luisa Muraro in un commento a un'edizione italiana de Le tre ghinee, questo saggio è «un libro forse senza precedenti nella letteratura politica, perché nasce da un sentimento di inadeguatezza, e in politica di solito il sentirsi inadeguati genera silenzio, disinteresse, passività». Invece per Virginia Woolf questo sentimento di estraneità delle donne nei confronti del potere è l'occasione per spostare il discorso sulla Storia in modalità inedite e feconde.
Qualche anno più tardi, nel 1940, la Woolf riprese le sue riflessioni sul binomio "pensiero delle donne / pensiero per la pace" in un testo breve e folgorante, intitolato Pensieri di pace durante un'incursione aerea. Il testo è uscito postumo, dal momento che la scrittrice è morta tragicamente nella primavera del 1941, quando ormai la guerra aveva travolto inarrestabile l'Europa.
Ne riportiamo qualche stralcio, ammirate per la lucidità e l'attualità delle riflessioni dell'autrice, per la sua capacità di spostare senza esitazioni il problema (e la possibile soluzione) della guerra al di là della Storia esteriore e visibile, la Storia che nei manuali si riduce all'elenco delle vittorie e delle sconfitte, collocandolo verso la regione dell'etica, dei meccanismi interiori, dove proliferano i germi di tutti gli hitlerismi, ma dove possono crescere anche gli anticorpi positivi della compassione e della comunicazione profonda tra esseri umani.

I tedeschi sono passati sopra questa casa ieri sera e la sera prima. Eccoli un'altra volta. È una strana esperienza, questa di stare sdraiata nel buio e ascoltare il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento può pungerci mortalmente. È un rumore che non permette di pensare freddamente e coerentemente alla pace. Eppure è un rumore che dovrebbe costringerci - assai più che non gli inni e le preghiere -- a pensare alla pace. Poiché se non riusciamo, a forza di pensare, a infondere esistenza a questa pace, continueremo per sempre a giacere - non questo corpo in questo letto bensì milioni di corpi non ancora nati - nello stesso buio, ascoltando lo stesso rumore di morte sulla testa.[...] Lassù in cielo combattono giovani inglesi contro giovani tedeschi. I difensori sono uomini, gli attaccanti sono uomini. Alla donna inglese non vengono consegnate armi, né per combattere il nemico né per difendersi. [...] Ma come può lottare per la libertà senza armi? Fabbricandole, oppure fabbricando vestiti e alimenti. Ma c'è un altro modo di lottare senza armi per la libertà. Possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee, le quali possano aiutare quel giovane inglese che combatte lassù in cielo a vincere il nemico.
Ma perché le idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di accendere la loro miccia. Dobbiamo metterle in azione. [...] Tutti i fabbricanti di idee, in grado di attuare queste nuove idee, sono uomini. Ecco un pensiero che soffoca il pensiero, e incoraggia invece l'irresponsabilità. Perché non sprofondare allora la testa nel cuscino, otturarsi le orecchie, e abbandonare questa futile attività di fabbricare idee? Poiché ci sono altri tavoli, oltre ai tavoli dei militari e i tavoli delle conferenze. Potrebbe darsi che se noi rinunciamo al nostro pensiero privato, al pensiero del tavolo da tè, perché esso ci sembra inutile, stiamo privando quel giovane inglese di un'arma che potrebbe essergli utile. Non stiamo esagerando la nostra incapacità, solo perché la nostra capacità ci espone forse all'insulto, al disprezzo? «Non cesserò di lottare mentalmente» scrisse Blake. Lottare mentalmente significa pensare contro la corrente, non a favore di essa.
[...] Ogni giorno ci dicono che siamo un popolo libero, il quale combatte per difendere la libertà. Quella è la corrente che ha trascinato nei suoi turbini quel giovane aviatore fino al cielo, e che lo fa girare incessantemente tra le nuvole. Quaggiù, protetti da un tetto, con una maschera antigas sotto le mani, è nostro dovere sgonfiare questi palloni d'aria e scoprire qualche germe di verità. Non è vero che siamo liberi. Questa sera siamo tutti e due prigionieri: lui nella sua macchina con un'arma accanto, noi sdraiati nel buio con una maschera antigas accanto. Se fossimo liberi saremmo all'aperto, a ballare, o in un teatro, o seduti davanti alla finestra, conversando. Che cosa ce lo impedisce? «Hitler!» esclamano unanimi gli altoparlanti. Chi è Hitler? Che cosa è Hitler? L'aggressività, la tirannia, l'amore forsennato del potere, rispondono. Distruggetelo, e sarete liberi.
Ora sulla mia testa gli aerei rombano come se segassero il ramo di un albero. Gira e gira, segando e segando quel ramo proprio sopra la mia casa. E nel cervello un altro suono comincia a aprirsi, anch'esso segando, una galleria. «Le donne capaci - così diceva Lady Astor nel Times di questa mattina - vengono ostacolate in tutte le carriere a causa dell'inconscio hitlerismo nel cuore dell'uomo». È vero, siamo ostacolate. E questa sera siamo tutti prigionieri: gli inglesi nei loro aerei, le inglesi nei loro letti. Ma se lui smette un attimo di pensare, possono ucciderlo; e anche noi. Pertanto, pensiamo per lui. Cerchiamo di fare conscio l'inconscio hitlerismo che ci opprime. È il desiderio di aggressione; il desiderio di dominare e di rendere schiavi. [...] Se potessimo liberarci dalla schiavitù, avremmo liberato gli uomini dalla tirannia. Gli Hitler sono generati dagli schiavi.
[...] «Combattere contro un nemico reale, meritare eterno onore e gloria uccidendo dei perfetti sconosciuti, e tornare a casa con il petto coperto di medaglie e di decorazioni, quello era il colmo delle mie speranze... A questo era stata dedicata, finora, tutta la mia vita, la mia educazione, la mia preparazione, tutto...». Queste sono le parole di un giovane inglese combattente nell'ultima guerra.
[...] E anche questo deve essere parte della nostra lotta per la libertà. Dobbiamo aiutare i giovani inglesi a togliere dai loro cuori l'amore delle medaglie e delle decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per coloro i quali cercano di dominare in se stessi l'istinto combattivo, l'inconscio hitlerismo. Dobbiamo compensare l'uomo per la perdita delle sue armi.
Il rumore di sega sulle nostre teste aumenta. Tutti i riflettori puntano in alto, verso un punto sito esattamente sopra questo tetto. In qualunque momento può cadere una bomba in questa stanza. Uno due tre quattro cinque sei... passano i secondi. La bomba non è caduta. Ma durante quei secondi di attesa, l'attività del pensiero è cessata.. È anche cessato ogni sentimento, tranne un opaco rumore. [...] L'emozione della paura e dell'odio è pertanto sterile, non fertile. Non appena la paura scompare, la mente affiora di nuovo e istintivamente cerca di rivivere creando. [...] Ritornano le voci degli amici; frammenti di poesia. Ognuno di questi pensieri, anche nella memoria era assai più positivo, rinfrescante, consolatore e creativo di quanto non lo fosse quell'opaco spavento, fatto di paura e di odio. Perciò, se vogliamo compensare quel giovane della perdita della sua gloria e della sua arma, gli dobbiamo aprire l'accesso ai sentimenti creativi. Dobbiamo fabbricare felicità. Dobbiamo liberarlo dalla macchina. Dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione, all'aperto. Ma a che cosa serve liberare il giovane inglese, se il giovane tedesco e il giovane italiano rimangono schiavi?
I riflettori ondeggiano sulla pianura, hanno trovato finalmente l'aereo. Da questa finestra si può vedere un piccolo insetto argentato che gira e si contorce nella luce. I cannoni sparano e sparano. Poi smettono. Probabilmente l'attaccante è stato colpito, dietro il colle.
L'altro giorno, uno dei piloti riuscì ad atterrare in un campo qui vicino. In un inglese abbastanza tollerabile, disse ai suoi catturatori: «Come sono contento che la lotta sia finita!». Poi un inglese gli diede una sigaretta, e un inglese gli offrì una tazza di tè. Questo starebbe a dimostrare che se si riesce a liberare l'uomo dalla macchina, il seme non cade in un suolo completamente sterile. Il seme può essere ancora fertile...

(da Romanzi e altro, Mondadori, Milano 1978)

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Durante un'incursione aerea

a cura di Marina Marrazzi



Il 20 giugno scorso Luisa Muraro è stata invitata al centro culturale IBISG di Milano per presentare il suo libro Il dio delle donne1. Numerose le domande delle molte donne e degli uomini presenti - soprattutto buddiste e buddisti ma anche molte persone ospiti - rivolte all'autrice, filosofa della differenza sessuale, che all'inizio ha detto di sé: «Il mio impegno principale sia di studiosa che di donna impegnata è che venga a circolare nella società l'esperienza umana di donne. Perché a me pare che questa in cui viviamo sia una civiltà unilaterale: sul piano della creatività, del lavoro, della fatica, della sofferenza contribuiscono donne e uomini, mentre nella rappresentazione della cultura, del pensiero, degli interessi e dei problemi c'è una prevalenza di parola maschile. Di conseguenza il vivere, il desiderare, il patire, il sognare di donne resta parzialmente muto. Questo era più vero trent'anni fa di quanto non sia oggi, qualcosa di più della voce delle donne oggi si sente, si dice. Però questi trent'anni sono stati anche anni di lotta a volte molto faticosa, perché dall'interno stesso del femminismo si è aperto un conflitto: c'è una parte del femminismo che sembra mirare unicamente a una parità tra donne e uomini, e sulle donne ragiona sempre confrontandole con gli uomini. Io credo che questa specie di confronto dovrebbe tramontare a vantaggio di un esprimersi libero e forte di donne per se stesse. 
[...] Io sono qui non per fare una conferenza ma per colloquiare con voi. Non sono qui per presentare il libro - io l'ho messo fuori da me, e adesso è più autore del libro colui o colei che lo sta leggendo - ma volentieri per uno scambio e anche per ritrovare qualcosa del meglio di me, perché il meglio di me va e viene in me. È una specie di presenza che poi si dilegua, una presenza assenza, un movimento che mi attraversa. Lo scambio con voi può restituirmi qualcosa del meglio di me...». 
Nella speranza di riportare un po' di questo "meglio" a chi non era presente, ecco brevi punti di alcune domande e delle risposte sorte quella domenica mattina. 




GIANNI: Questo libro l'ho cominciato con una certa difficoltà, e infatti all'inizio non l'ho sottolineato. Poi alla fine l'ho sottolineato tutto. Per me è stata una delle più grandi scoperte in questi sei mesi. La cosa che mi ha più colpito è stata l'idea di come un modo di agire, di pensare, di praticare delle donne «cambi la realtà sprigionando il possibile che vi è chiuso dentro». Io ho dato la mia interpretazione: un modo di fare da uomo è quello che forza la realtà a dover essere in un certo modo, mentre un modo di fare delle donne fa nascere il possibile dalla realtà. È come una donna che fa nascere un figlio senza dover decidere prima come deve essere, e poi lui diventa in qualche modo... 
MURARO: Il paragone che fai con la nascita di una creatura nuova è giusto. Rendere possibile quello che prima sembrava impossibile, agire non cambiando la realtà con il proprio schema mentale ma guardando quello che è possibile e facendolo venire fuori, è una qualità che hanno specialmente le donne - ma non solo. E il paragone con la gestazione è giusto. Faccio solo un'aggiunta: io, come altre nel femminismo, ho combattuto il luogo comune che identifica una donna con la madre. Però non contrappongo l'essere donna all'essere madre: l'essere madre si iscrive in una persona che nasce dello stesso sesso della madre, e nascere dello stesso sesso della madre iscrive nell'essere donna un "da meno" (la madre è un "di più") e una disposizione ad accogliere altro, l'altro. Questo "da meno" può essere sentito come motivo di risentimento, può essere colmato in senso di emancipazione, può essere imputato alla madre come un torto che lei avrebbe fatto... ma se invece questo "da meno" noi lo accettiamo diventa il luogo di accoglienza di altro.



MARINA: In una intervista su Buddismo e società (vedi n. 91) parlavi della specificità che hanno le donne di lasciare uno spazio vuoto all'interno del quale possa succedere qualcosa, e il fatto che «il posto vuoto creato da lei perché "altro" possa avvenire viene riempito da questo e quell'uomo». Ora ti chiedo: cosa si può fare perché questo "vuoto" diventi un valore riconoscibile? 
MURARO: Faccio una premessa che non c'entra direttamente con la tua domanda. In genere non parlo mai di specificità femminile (o maschile). Non do mai un contenuto al femminile o al maschile, perché penso che gli esseri umani sono donne e uomini costantemente impegnate, impegnati, a interpretare in senso libero il fatto di essere donne, uomini. Ritengo che il pensiero della differenza sessuale non voglia dire assegnare dei contenuti all'essere donna o all'essere uomo, ma chiedere a donne da una parte e uomini dall'altra di dare all'essere donna e all'essere uomo i propri personali e contestuali contenuti, liberi da stereotipi. E aggiungo: una donna può imparare molte cose da un uomo e un uomo può imparare molte cose da una donna, ma più importante dell'imparare dall'altro è il sapere che c'è altro rispetto a quello che uno sa e può fare. 
Adesso vengo alla tua domanda: come si può fare che quello che è un "meno" ci aiuti invece di minacciarci? Io credo che questo sia proprio quello che Cristina Campo ha chiamato «passare all'altro ordine di rapporti»: noi ci troviamo nei rapporti di forza, di efficienza, di prestazione... passare a un altro ordine di rapporti è andare dove tutto questo viene meno.



DONNA: Sono qui come ospite, e vorrei fare la seguente domanda. Finora si è parlato delle donne in modo molto positivo, buono, gentile... ma quando all'inizio della propria vita si è sperimentata la parte negativa delle donne, la crudeltà, la falsità, la debolezza, quando una madre ha inculcato all'essere che ha concepito i valori negativi e non quelli positivi dell'essere donna, come si fa ad accettare il proprio sesso? 
MURARO: Generalmente gli uomini sono in buon rapporto con la madre, le donne no. Le donne hanno con la madre un rapporto che può essere buono, mediocre, cattivo, cattivissimo. Questa gamma si ripresenta nei rapporti con altre donne, ponendo dei problemi. A volte, come tu dici, è l'accettazione stessa dell'essere donna che può essere messa in scacco dal rapporto con la madre. Se è la madre che inculca il disprezzo per il sesso femminile, come si fa? 
[...] La mia risposta è: farsi ammiratrici di donne. Da quando mi sono legata al movimento delle donne io ho coltivato l'ammirazione per altre donne. E per questa strada spero di arrivare a un amore più forte nei confronti di mia madre e del mio sesso, del fatto che mia madre mi ha fatta donna. L'ammirazione per altre donne non è un'ammirazione per tutte le donne, non è la idealizzazione del sesso femminile, questa è la strada sbagliata. Invece è: ammirare questa o quella donna. Sorvolare sulle cose peggiori e, per quanto riguarda gli aspetti negativi dell'essere donna, dirseli. 
Ve ne dico uno, degli aspetti deteriori dell'essere donna: la invidiosità, la invidia. Io questa la difendo come imparentata con il "sapere che c'è altro". Noi donne siamo il sesso carente. E questa carenza, che può portare all'invidiosità, può essere vista come un segmento di strada per quella cosa preziosa che tanto fa difetto al sesso maschile: "fare posto" ad altro, agli altri, vivere con una "non pienezza".



ALESSANDRO: Nel sentire questo richiamo all'essere uomo e all'essere donna, sento di vivere con difficoltà la mancanza di femminile nella mia vita, che cerco di fare emergere sempre di più. Perché guardandomi intorno mi rendo conto che sempre di più uomo significa guerra e donna significa altro. Il femminile è un valore enorme nella mia vita. Io non mi sveglio la mattina dicendomi "sono un uomo", mi sveglio, sono felicissimo di essere quello che sono, ma sento la mancanza di questa femminilità. Come ho detto alla mia donna qualche giorno fa: a me non piacciono le donne, piace il femminile. Che credo sia diverso. 
MURARO: Tu dici: io non mi sveglio la mattina dicendo "io sono un uomo". Qui c'è in effetti una differenza. Le donne sono più consapevoli di essere donne, del fatto che c'è un altro sesso, sono più costantemente consapevoli del proprio genere... io mi sveglio sapendo che sono una donna. Il mio essere donna lo esperisco come un sottofondo di ogni esperienza che faccio. Non so se le altre che sono qui potrebbero sottoscrivere quello che dico. Poi tu dici: a me non piacciono le donne, piace il femminile. Se io fossi la tua maestra spirituale, cosa che non sono, ti darei come traguardo di arrivare al fatto che ti piacciano le donne e lasci perdere il femminile. Sono gli esseri umani in carne e ossa che hanno da piacerci, non le entità teoriche o astratte come il femminile.



1) Il dio delle donne, Mondadori, Milano 2003



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Perché altro possa avvenire

a cura di Pasquale Dioguardi



M. Vasantha, indiana dello stato del Tamil Nadu, è la responsabile del progetto educazione di ASSEFA India. ASSEFA sta per "Associazione Sarva seva" ("fattorie al servizio di tutti"), un'organizzazione non governativa nata a partire dalla "riforma agraria" realizzata da un discepolo di Gandhi, Vinoba Bhave, che si ispirava ai principi gandhiani del Sarvodaya, il bene di tutti, un ordine sociale dove il bene del singolo è racchiuso nel benessere di tutti. Vinoba fondò il movimento bhoodan (che significa "dono della terra") e per quattordici anni, traversando a piedi gran parte dell'India, chiese ai latifondisti il dono di qualche acro di terra da destinare ai contadini più poveri: riuscì così a raccogliere circa 4.200.000 acri di terra. Tuttavia si trattava per lo più di terre marginali, difficili da coltivare, spesso aride, scoscese e piene di pietre. Per questa ragione solo una piccola parte venne in realtà utilizzata per scopi agricoli e la maggior parte rimase incolta. 
Nel 1969 a Sevalur, nel Tamil Nadu, uno stato meridionale dell'India, l'italiano Giovanni Ermiglia incontrò un gruppo di attivisti gandhiani che continuavano a lavorare al progetto bhoodan, in particolare S. Loganathan, e pensò di offrire loro le somme che l'associazione laica "Movimento, sviluppo e pace" di Torino gli aveva affidato. L'idea era quella di cercare di organizzare i contadini, recuperare queste terre, lavorarle, renderle coltivabili e creare delle fattorie collettive di lavoro, nel rispetto della cultura e dell'autodeterminazione locali. Venne allora affidata a un piccolo gruppo di contadini assegnatari la somma necessaria a due anni di lavoro. Il prestito doveva esser restituito appena il raccolto l'avesse consentito, a favore di altri contadini assegnatari. La prima fattoria fu un grande successo, riuscendo a ottenere tre raccolti all'anno con grande soddisfazione di tutti. 
La riuscita di questo tentativo suggerì di continuare in questo senso e dopo qualche anno anche i contadini piccolissimi proprietari, vedendo il progresso degli assegnatari, cominciarono a chiedere di partecipare ai progetti. Dal coinvolgimento di singole fattorie si passò quindi a villaggi interi e nel 1978 si costituì l'ONG ASSEFA India, che in pochi anni si trasformò in un'agenzia di sviluppo globale e sostenibile. Infatti dall'agricoltura si passò alla ricostruzione delle comunità di villaggio, in modo che attraverso le loro assemblee (Gram Sabha), i contadini potessero essere protagonisti del proprio sviluppo. Questo processo di costruzione sociale ha considerato cruciale l'inserimento delle donne e degli "intoccabili" - che Gandhi chiamava harijians (figli di Dio) - in una democrazia assembleare che funziona per consenso. 
Nel 1978 è iniziato anche il programma pedagogico, partito da una scuola e ora presente in milleduecento scuole, tra cui tre grandi complessi di scuole superiori. Contemporaneamente è stato avviato un programma sanitario che con mezzi poverissimi, la responsabilizzazione capillare dei bambini delle scuole e di alcuni abitanti dei villaggi, è riuscito a ridurre di oltre la metà le morti in età infantile. Le lavorazioni artigianali tradizionali sono state valorizzate e commercializzate nei negozi. L'allevamento del bestiame e il programma lattiero-caseario sono stati incentivati sia attraverso i sistemi di risparmio premiato riservati alle donne, che diventano così protagoniste di un proprio sviluppo, sia con la costruzione di tre industrie di lavorazione del latte. 
I criteri per lo sviluppo, l'educazione, la costruzione della comunità democratica e la valorizzazione della cultura tradizionale in tutte le sue radici più significative sono per la maggior parte quelli che Gandhi aveva pensato per le campagne dell'India liberata dalla colonizzazione. In particolare nell'educazione dei ragazzi assume notevole importanza l'integrazione dello studio con il lavoro manuale, l'addestramento alla democrazia con le assemblee dei bambini (Balar sabha), il principio di autosufficienza, l'interazione tra scuola e villaggio, tra studenti e genitori. E ancora l'educazione a una spiritualità radicata nelle proprie radici ma aperta al rispetto delle altre religioni. 



Abbiamo avuto l'occasione di incontrare a Pisa, lo scorso maggio, M. Vasantha, dirigente di ASSEFA India, che ha cominciato a lavorare per questa associazione quando aveva venticinque anni e ha creato dal nulla il progetto educazione, di cui ora è responsabile, aprendo grandi prospettive di crescita per le donne e i bambini del suo paese. 
 
Come e perché ha preso in carico il progetto educazione? 
Quando entrai a far parte di ASSEFA India fui incaricata di visitare i villaggi per aiutare a tenere la contabilità. In queste visite notai come gli adulti avessero da lavorare, mentre i bambini erano lasciati a se stessi. Nessuno badava a loro e non avevano la possibilità di andare a scuola. Allora ho proposto a Loganathan che era - ed è tuttora - il direttore esecutivo di ASSEFA India, di potermi interessare di questo settore. Era il 1978 e le disponibilità finanziarie erano tutte necessarie per sostenere i progetti di sviluppo agricolo già in corso. Mi recai allora nel villaggio di Vadugapatti e chiesi alle donne di risparmiare un pugno di riso al giorno per dar da mangiare ai loro bambini e a un insegnante. Consegnai a ciascuna di loro una ciotola ma ero piuttosto pessimista sul risultato, perché era assai difficile per loro risparmiare un pugno di riso ogni giorno. Invece circa venticinque di loro risposero positivamente: riempirono le loro ciotole e così si è potuto partire con la prima scuola. Al momento non si trovò un insegnante disposto a vivere nel villaggio e a far lezione, così andai io. Ma dopo circa un mese si trovò un'insegnante che mi sostituì e così io potei dedicarmi a diffondere questo programma educativo.



Quante scuole e quanti studenti sono inclusi nei progetti? 
Le scuole, dalle materne alle pre-universitarie, sono arrivate a milleduecento, e gli studenti sono circa quarantamila. Ora a carico di ASSEFA India vi sono un po' meno scuole perché lo stato, finalmente, ne ha assunto in proprio parecchie. Sono dislocate in quattrocentottanta villaggi di tre stati dell'India, il Tamil Nadu, il Rajastan e il Madhya Pradesh.



Quale ruolo hanno le donne indiane in questo progetto? 
Circa l'80% del corpo insegnante è composto da donne. La maestra o l'insegnante diventa inoltre un modello per le altre donne, che possono capire così di poter avere un ruolo sociale anche indipendentemente dal matrimonio.



A cosa e come vengono preparati gli studenti, con quale metodo? E come vengono scelti gli insegnanti? 
Le scuole vengono organizzate con la stretta collaborazione del villaggio: la Gram Sabha (l'assemblea del villaggio) deve esprimere un comitato che si occupi specificamente dei problemi della scuola, di cui fanno parte i docenti e una rappresentanza di genitori. ASSEFA propone alcuni possibili insegnanti al comitato, e il villaggio sceglie quello che ritiene più idoneo. Spesso l'insegnante proviene a sua volta dalle scuole ASSEFA. È comunque richiesto ai docenti un certo curriculum di studi e un periodo di formazione con la stretta collaborazione di un insegnante più anziano ed esperto nel metodo educativo realizzato da ASSEFA.



Come siete arrivati a questo modello educativo? 
Prima abbiamo applicato i metodi occidentali che più sembravano venire incontro al nostro modello di scuola di villaggio. Tra gli altri abbiamo applicato anche i metodi montessoriani, che erano importanti per far venire volentieri i bambini a scuola. Poi ci siamo rifatti più strettamente alla metodologia che il Mahatma Gandhi aveva individuato e proposto per l'India libera. Si tratta cioè di non limitarsi alla attuazione del programma curricolare che il governo dello stato ha imposto per le scuole, ma di lavorare per lo sviluppo delle "tre H": hand, heart, head: mano, cuore, mente. 
Il bambino cioè deve acquisire capacità di lavoro manuale, senso di solidarietà e apertura mentale. 
Il lavoro manuale per Gandhi era un metodo di istruzione, un modo per imparare a risolvere piccoli problemi concreti, per capire come le materie curricolari sono intrecciate con il mondo del lavoro, con la geografia economica, ecc. Il lavoro permette al bambino anche di guadagnare qualche rupia. 
La solidarietà viene attuata con la condivisione delle risorse, in modo che tutti abbiano uguali possibilità: ad esempio, nel caso dell'adozione a distanza il denaro non viene destinato al solo bambino "adottato" ma, tramite un progetto più ampio, ad almeno altri due bambini, che risultano così beneficiari del progetto. Il donatore adotta un bambino, ma sa allo stesso tempo di finanziare con i suoi soldi un contesto più ampio oltre che quel determinato bambino. Ciò avviene anche con il finanziamento di una capretta, affidata a un bambino che la cura e l'accudisce, dove però il frutto della sua responsabilità serve a tutta la sua famiglia. 
Così inizia l'educazione all'armonia di convivenza, che viene aiutata sia con la pratica dello yoga sia con l'addestramento degli insegnanti, che devono anche loro praticare questa disciplina e aggiornarsi, aiutarsi gli uni con gli altri nel corso di incontri mensili (i training di yoga non obbligano gli insegnanti a una religione, in questo contesto lo yoga è praticato come esercizio di meditazione; all'interno dei villaggi ASSEFA e fra gli insegnanti convivono pacificamente induisti, musulmani e cristiani, n.d.r.). 
Infine i ragazzi hanno la loro assemblea (Balar Sabha), che elegge un proprio governo. I "ministri" assumono ciascuno la responsabilità di curare un settore: disciplina, agricoltura, educazione, salute... Il "ministro della salute", detto Kutty doctor, cioè piccolo dottore, ha l'importante compito di mettere in pratica i principi di igiene che ha imparato dal medico, curando l'igiene dell'ambiente scolastico e quella dei compagni. Inoltre deve essere attento e segnalare l'esistenza di malattie, tra cui quelle infettive come la lebbra, la scabbia, ecc., le più pericolose.



Qual è la funzione dei genitori all'interno del progetto scuola? Quali sono le vostre fonti di finanziamento? Partecipa anche il villaggio? 
Come ho già detto, i genitori partecipano all'organizzazione della scuola e gestiscono i finanziamenti, che sono in parte contributi del villaggio stesso, in special modo dei genitori che possono farlo, e in parte quelli che derivano dalle adozioni a distanza. I genitori entrano anche nel programma di insegnamento per trasmettere il loro mestiere, l'agricoltura se ad esempio sono contadini: intorno alle scuole c'è infatti sempre almeno un piccolo orto, o talvolta una piantagione, finalizzati a consentire in futuro l'auto-sostenibilità del progetto scolastico. Se sono artigiani insegnano la propria arte: così i bambini percepiscono il valore dei propri genitori e la dignità di ogni lavoro, e non si arriva a quelle forme di disprezzo che si registrano in certi paesi in via di sviluppo, con i figli che sanno leggere e scrivere e disprezzano i genitori analfabeti.



Il progetto scuola è il perno intorno al quale ruotano tutti gli altri progetti? 
Non credo che si possa dire esattamente questo: i vari progetti di sviluppo sono reciprocamente necessari. La cultura non è solo quella che si insegna a scuola, ma deve crescere in ogni campo: sanità, allevamento, agricoltura, artigianato, commercio, ambiente, promozione delle persone più svantaggiate.



Quali sono i requisiti che deve avere un villaggio per partecipare ai progetti di ASSEFA? 
Inizialmente venivano individuati i villaggi più poveri e alcuni incaricati dell'ONG lavoravano da uno a tre anni per riuscire a coinvolgere e persuadere la popolazione a impegnarsi nel proprio sviluppo. 
Da quando lo sviluppo dei villaggi pionieri è diventato visibile sono gli stessi villaggi vicini che chiedono di entrare nella "spirale" di sviluppo. Popolazioni ancora poverissime, che non hanno alcuna suppellettile e possiedono solo delle pentole e un cambio di vestiti, arrivate al livello di sussistenza cominciano ad aiutare i villaggi che stanno iniziando e la quota di finanziamento che deriva da queste rimesse supera ormai il cinquanta per cento del bilancio dell'intera organizzazione, compresi i finanziamenti che vengono dall'estero.



Qual è il ruolo delle donne all'interno dei progetti ASSEFA? 
Bisognerebbe prima descrivere la condizione delle donne in India, che è molto diversa a seconda della casta, del livello economico e culturale. Ma in generale la bambina è da subito emarginata e riceve meno cibo, assistenza ed educazione del maschio, in quanto rappresenta un debito per la famiglia perché si sposerà, andrà ad abitare lontano e per farla sposare la famiglia dovrà pagare una dote molto pesante. 
Per quanto riguarda ASSEFA, inizialmente il progetto si rivolgeva solo agli uomini: le donne svolgevano solo un ruolo di supporto nello sviluppo agricolo. Ma ben presto ci si è preoccupati direttamente dello sviluppo delle donne, situate tradizionalmente in una posizione non solo subordinata, ma disprezzata. 
Inoltre la loro crescita culturale si rivelò quasi subito essenziale per la salute dell'intera famiglia e in particolare delle nuove generazioni. Si crearono quindi dei gruppi di donne che avevano in generale una funzione di istruzione e di socializzazione inter-femminile, e si cercò di dare una dignità sociale alle donne dei villaggi proponendo che l'assemblea di villaggio (Gram Sabha) fosse composta da uomini e donne, indipendentemente dalle caste di appartenenza, e quindi anche dai fuori casta o intoccabili. Più recentemente si è capito che lo sviluppo poteva essere assai più veloce se si fossero affidati i compiti più impegnativi proprio alle donne. Perciò ora i gruppi femminili sono diventati "portanti" nel complesso globale del programma di sviluppo. 
Inoltre all'interno del gruppo direttivo di ASSEFA siamo quattro donne su undici componenti.



Può parlarci del progetto sul microcredito e di quello del latte? 
Come ho detto prima, inizialmente i gruppi femminili erano specializzati nell'acquisizione di nozioni relative alla salute della famiglia. Poi si è proposto per loro un addestramento specifico in campo economico, riferito a gruppi di venti-venticinque partecipanti. Il programma ha le seguenti tappe: il primo periodo deve esser dedicato al risparmio, minimo ma regolare. Nello stesso periodo le donne imparano anche il metodo contabile della partita doppia. ASSEFA incentiva la raccolta di fondi raddoppiando le somme accantonate, che restano depositate nella banca di villaggio o in banche gestite dalle donne stesse. Quando hanno raccolto una somma sufficiente, le donne possono prestarsi reciprocamente piccole somme, ma sono anche pronte - dal punto di vista della preparazione economica - a ricevere finanziamenti più consistenti. 
Il programma più frequente è quello dell'allevamento, nel quale ricevono il finanziamento per l'acquisto di una mucca ciascuna. All'inizio avevano difficoltà a vendere il latte, perché l'ente titolare del monopolio lo pagava con grave ritardo, e allora erano costrette a vendere la mucca. Così ASSEFA ha organizzato la raccolta e la lavorazione del latte. Oggi le donne ricevono, oltre al prestito, assistenza veterinaria e assicurativa contro la morte dell'animale e il pagamento del latte che eccede il loro fabbisogno quotidiano. Sono così brave che nel giro di poco più di un anno restituiscono al proprio gruppo il prestito ricevuto e sono quindi in grado di autofinanziarsi. Tenendo inoltre conto del fatto che la mucca viene acquistata gravida, c'è anche il guadagno dell'allevamento del vitello. ASSEFA ha impiantato cinque centrali del latte nel Tamil Nadu, lavora e commercializza ogni giorno oltre cinquantamila litri di latte, essendo riuscita a superare gli ostacoli che l'ente monopolistico aveva tentato di opporre.



Cosa dice di lei stessa? Cosa direbbe alle donne italiane? 
Di me direi che faccio un lavoro che amo molto e mi dà molto. Stare con i bambini è estremamente emozionante e non ci sono fatiche che desidererei risparmiarmi. Non ho nulla da insegnare alle donne italiane, posso solo raccontare la mia esperienza.



(traduzione di Itala Ricaldone, presidente di ASSEFA Italia)



L'ASSEFA India in cifre 
 - avviati 87 diversi progetti che coinvolgono 80 dipartimenti in cinque stati dell'India: Tamil Nadu, Karnataka, Madhya Pradesh, Bihar, Rajastan 
- in funzione circa 1.500 Gram Sabha (assemblee di villaggio), per un totale di circa due milioni di beneficiari 
- oltre 3.000 villaggi coinvolti dai progetti 
- 1.300 scuole attive per un totale di 70.000 studenti e 1.900 insegnanti 
- costruiti 700 impianti di biogas, 3.000 lavatoi, migliaia di servizi sanitari, installate circa 1.000 pompe per l'acqua 
- attuate, con programmi di microcredito, 550 piccole attività artigianali e 50 Kandhi Shop 
(piccole attività artigianali di villaggio) 
- avviati 8.400 programmi di post-gravidanza e 24.000 programmi pediatrici, 
31.000 bambini vaccinati contro la poliomielite, formati più di 500 animatori sanitari e ostetrici 
- in funzione 360 commissioni agricole, 600 commissioni del latte, 350 della casa e 400 
dell'industria 
- i programmi di allevamento comprendono: allevamento di 5.200 mucche, 2.200 pecore e 1.900 capre



L'ASSEFA Italia 
ASSEFA Italia è un'Organizzazione non governativa che ha lo scopo di appoggiare l'attività dell'ASSEFA India e di favorire la consapevolezza delle tematiche dello sviluppo integrato nel subcontinente indiano e nei paesi del terzo mondo. Essa si propone altresì di approfondire lo sviluppo rurale in India, le interdipendenze tra il nostro benessere post-industriale e quello dei paesi in via di sviluppo sulla base dell'esempio e modello delle fattorie Sarva Seva, nonché di finanziare realizzazioni all'interno dei progetti ASSEFA India. 
Sede: Via Roma 104, 18038 Sanremo (IM). Tel. 0184.501459 Fax 0184.501480 
(vedi http://www.assefaitalia.org).



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Un miracolo indiano

Il secolo delle donne

EMILY DICKINSON (1830-1886)

C'è un mattino agli uomini nascosto -
dove fanciulle in un verde antico
festeggiano un maggio soave -
e tutto il giorno ballano e giocano
incredibili corse
tempo di gioia.

Piedi che misurano luce
non vanno più per strade di villaggio
né si intravedono nel bosco -
uccelli che seguirono il sole
quando la rocca dell'anno scorso restò muta
e l'estate si bendò le sopracciglia.

Non ho mai visto una scena così bella
un girotondo sul verde come quello -
mai una parata più serena -
come stelle di notte l'estate
agitano coppe di limpidi cristalli
e s'inebriano fino al mattino -

Io chiedo, danzare così, così cantare
con il popolo del mistico verde -
io chiedo - al nuovo mattino di maggio.
E aspetto il suo suono lontano -
campane fantastiche che annuncino me -
in altre valli, differente albeggiare.

WISLAWA SZIMBORSKA (1923)
da Uno spasso

Nato
Dunque è sua madre.
Questa piccola donna.
Artefice dagli occhi grigi.

La barca su cui, anni fa,
lui navigò fino a riva.

È da lei che è venuto fuori
nel mondo,
nella non-eternità.

Genitrice dell'uomo
con cui salto attraverso il fuoco.

È dunque lei, l'unica
che non lo scelse
pronto, compiuto.

Da sola lo tirò
dentro la pelle a me nota,
lo attaccò alle ossa
a me nascoste.

Da sola gli cercò
gli occhi grigi
con cui mi ha guardato.

Dunque è lei la sua Alfa.
Perchè me l'ha mostrata?

Nato.
Così è nato, anche lui.
Nato come tutti.
Come me, che morirò.

Il figlio di una donna reale.
Uno venuto dalle profondità del corpo.
Un viaggiatore verso l'Omega.

Esposto
alla propria assenza
da ogni dove,
in ogni istante.

E la sua testa
è una testa contro un muro,
cedevole per il momento.

E le sue mosse
sono tentativi di eludere
il verdetto universale.

Ho capito
che è già a metà del cammino.

Ma questo non me lo ha detto,
no.

«Questa è mia madre»
mi ha detto soltanto.

CARMEN YÀNEZ (1952)
da Abitata dalla memoria

Antilacrime

Illumina la terrazza.
Ordinalo al sole del mezzogiorno
per poter aspettare seduti per mano
i raccolti.
Prenderai mai sul serio questo gioco
degli uomini?
Saprai che gli uomini quando crescono
non si prendono mai sul serio?
Non prenderlo mai sul serio il fatto di essere uomo.
È triste e noioso
quando non si è che uomini e si muore.

Loro si sono negati l'ultimo cortile
l'unica patria possibile che si ferma
nella vastità di ricordi
né filo di trottola che balla
né biglie, né occhietti di gatto, né follie, né sogni
infiniti,
né sbandamenti, né camicia rotta,
né guerra di susine, né fango nelle suole,
né piedi scalzi sulla sabbia, né febbre che valga la pena,
né cuore che batte per una cometa che vola più alta
di tutti gli uccelli.
Gli uomini di acciaio non sorridono mai e loro sì
che muoiono, bambino mio. Muoiono eccome.

MARINA CVETAEVA (1892-1941)
da A te - tra cent'anni

Alla mia povera fragilità
guardi senza specare parole.

Tu sei di pietra, ma io canto.
Tu sei un monumento, ma io volo.

Io so che il più tenero maggio
all'occhio dell'Eternità è nulla.

Ma sono volatile e non incolparmi
se una legge leggera mi è imposta.

dal ciclo Il commediante

Sono felice di vivere in modo semplice ed esemplare -
come il sole, come il pendolo, come il calendario.
D'essere un'anacoreta laica di snella figura,
savissima - come qualsiasi creatura di Dio.

Di sapere: lo Spirito è mio alleato, lo Spirito mi guida!
D'entrare senza annunciarmi, come un raggio e come uno sguardo.
Di vivere così come scrivo: in modo esemplare e succinto -
come Dio comanda - come gli amici non prescrivono.

AMELIA ROSSELLI (1930-1996)
da Variazioni

Se dalla bocca degli arcangioli cadevano parole amare
se dalle tue parole amare io conferivo carattere alla
mia disciplina, se dalle tue parole disordinate e confuse
a tal punto ch'io non potevo non rimuovere ogni disordine
dalla mia mente nascessero cose buone, se dalla tua testardaggine
nascessero ancora fiori! se dalla mia stanchezza suonasse
un ritornello d'amore, se dall'amarezza nascesse qualche cosa
di nuovo: se dalla mia follia corresse una nuova vittoria
se dal mio disordine nascesse un ordine nuovo, se dalla
mia preghiera potesse sorgere la sicurezza... io avrei
trovato te. Se nell'incavo della tua mano vi fosse la
moneta perfetta - Se dall'amore della disciplina nascesse
il passo del soldato che non vince ma si ritira senza
colpo ferire. Se dalla luce si sprigionasse un nuovo
sole fiammeggiante d'amore e di silenzi...

ALDA MERINI (1931)
da La volpe e il sipario

Ascolta, il passo breve delle cose
- assai più breve delle tue finestre -
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
È fatta di ombra e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c'è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.

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Perché il secolo delle donne

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