Ciascuno di noi è in relazione continua con ogni fenomeno dell'universo, in un rapporto di influenza reciproca

Per il Buddismo non c'è alternativa.
Io sono sempre in relazione: con le persone che conosco e con quelle che non conoscerò mai, con chi amo e con chi non voglio mai più vedere, con quelli che dipendono totalmente da me - come i miei figli appena nati o i gatti di casa - e quelli che sembra farebbero volentieri a meno di me, come per esempio quanti alle elezioni hanno votato per il partito opposto al mio.
Sono sempre in relazione, anche quando soffro perché mi sento la persona più sola della Terra o quando mi sembra di non capire più le ragioni degli altri e mi ritrovo a volere solo silenzio e distanza.
Anzi, secondo il Buddismo io sono sempre in relazione non solo con tutte le persone ma anche con ogni altro essere vivente e non vivente. La relazione che lega tutti i fenomeni in una catena ininterrotta di cause ed effetti, dove ogni aspetto prende significato e valore solo in rapporto a tutti gli altri, è per il Buddismo un dato di fatto (spiegato dal principio dell'"origine dipendente", engi).
Ma, come succede in altri ambiti, normalmente viviamo nell'illusione, inconsapevoli della realtà. Dunque, in questo caso, nell'illusione di essere soli o di potere fare a meno degli altri, nell'illusione che solo la presenza (o l'assenza) di una certa persona ci consentirebbe di realizzare la nostra vita. Nell'illusione che non dipende da noi, perché c'è sempre qualcuno che ci manca troppo o che è di troppo per la nostra felicità.
Abbandoni, tradimenti, ricatti, delusioni sono in cima alla graduatoria delle cause dell'infelicità umana. Riescono a spezzarci il cuore, a tutte le età, e a condizionare i nostri pensieri di giorni, mesi, anni interi.
Questo è umano. Ma, se lo vogliamo, è anche il punto di partenza per un'esperienza buddista. Per sperimentare che la qualità della relazione esistente tra noi e gli altri ci riguarda, e la trasformazione inizia da noi.
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Io in relazione

Sentirsi responsabili di quanti ci accade ci consente di diventare protagonsti

di Maria Lucia De Luca

SENTIRSI RESPONSABILI DI QUANTO ACCADE CI DÀ POTERE E CI CONSENTE DI DIVENTARE PROTAGONISTI DEL CAMBIAMENTO. RENDERE CONCRETA NELLA VITA QUOTIDIANA L'ESPRESSIONE "MI RIGUARDA" VUOL DIRE DI PER SÉ VIVERE IN MODO ILLUMINATO: QUESTO È ESATTAMENTE IL PROCESSO DELLA "RIVOLUZIONE UMANA", OBIETTIVO FONDAMENTALE DELLA PRATICA BUDDISTA

Dal punto di vista buddista l'errore fondamentale è separare, operare discriminazioni. Dentro se stessi, con gli altri, con l'ambiente. O meglio: il problema è considerare la separazione come realtà e non semplicemente come un metodo di analisi e conoscenza della realtà.
Il poeta inglese Thomas S. Eliot durante una trasmissione radiofonica disse: «Una delle ragioni per cui molti riformisti o rivoluzionari mi sembrano troppo disinvolti è questa: la maggior parte di essi concepisce i mali del mondo come qualcosa di esterno a loro stessi. Essi li considerano qualcosa di completamente impersonale e così, secondo la loro interpretazione, non c'è niente da cambiare se non il sistema; oppure se c'è un male incarnato, è sempre incarnato in altri, siano essi una classe o una razza, i politici, i banchieri o i fabbricanti di armi. Il male non viene mai visto in se stessi».1
Stabilire che non è colpa nostra, se da un lato tranquillizza la nostra coscienza dall'altro ci toglie potere. È come la battuta: «Piove, governo ladro!». Espressione di protesta, senz'altro, ma anche di delega totale, di assoluta impotenza.
Su un piano diametralmente opposto si pone l'insegnamento buddista.
Afferma Nichiren Daishonin: «Non ci sono terre pure e terre impure di per sé; la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente».2
Quando cambia il pensiero, o il cuore delle persone - dice questa frase meravigliosa - cambia anche la terra, cioè il loro ambiente esterno. «Secondo questa visione - scrive Daisaku Ikeda - la terra pura non esiste in qualche mondo ultraterreno bensì nel mondo reale, e le persone la raggiungono attraverso la propria trasformazione interiore».3
Ci riguarda, mi riguarda. Questo punto di vista, che sposta il baricentro da fuori a dentro, dà un infinito potere agli esseri umani. Considerarsi responsabili, o addirittura "colpevoli", di una situazione impedisce di sentirsi in balia di un destino oscuro ma spinge a diventare protagonisti del cambiamento.
«Fondamentalmente - scrive Ikeda - si tratta di una trasformazione da illusione a Illuminazione»4.

Una vita illuminata
Rendere l'espressione "mi riguarda" un concreto approccio con ogni realtà della vita vuol dire vivere in modo illuminato. Lo sforzo di operare istante per istante questo spostamento di prospettiva è quel processo definito dalla Soka Gakkai "rivoluzione umana", ed è l'obiettivo fondamentale della pratica buddista. Tutto il resto è conseguente.
Ma quanto ci riguarda il nostro mondo, quanto è ampio il nostro senso di responsabilità? Ne discutono insieme Joseph Rotblat (scienziato, premio Nobel per la pace) e Daisaku Ikeda nel brano che segue: «Le varie forme di lealtà cui ci sentiamo tenuti - riflette Rotblat - possono essere viste come una serie di cerchi concentrici disegnati attorno all'individuo. Il cerchio più interno rappresenta la famiglia, il successivo è il quartiere e così via. Il cerchio più largo ed esterno, nella consapevolezza dell'umanità di oggi, rappresenta lo stato nazionale. Io sostengo con forza l'idea che si debba aggiungere un altro cerchio più largo, cioè un cerchio che rappresenti la lealtà e il sentimento di identità nei confronti di tutto il genere umano».
Il Buddismo - risponde Ikeda - distingue tra "piccolo io", la parte dell'individuo consumata dall'ego, e "grande io", l'io superiore più ampio, maturo e sviluppato, «il sentimento di fusione con la forza vitale dell'universo, infinita nel tempo e nello spazio. Noi chiamiamo rivoluzione umana quell'espansione dinamica della realtà di una persona che ha luogo nel passaggio dall'io piccolo all'io superiore più ampio; in definitiva questo dinamismo è la forza che sostiene la creazione dei movimenti che lottano per il progresso sociale».5
Questo grande io, sottolinea ancora Ikeda in Per il bene della pace, «fuso con la vita cosmica in una rete di relazioni causali al di là di qualunque limite spazio-temporale, indica un individuo aperto che si identifica con le sofferenze di tutti gli esseri senzienti. Chi sviluppa il grande io è in grado di "togliere sofferenza e dare felicità" nelle proprie interazioni all'interno della società in cui è inserito».6
Perché la rete di infinite relazioni che è la realtà - secondo la visione buddista - non si può guardare da fuori, ma si vive da dentro. Siamo tutti parte di questa rete, dobbiamo decidere se subirne passivamente - e pessimisticamente - l'influenza o viverla in maniera attiva, potente, ottimista.
Non si tratta di semplificare la realtà, anzi. Penso che "sviluppare il grande io" voglia dire assumersi la responsabilità della complessità coscienti, o meglio fiduciosi, che facendo la nostra parte in questo piccolo angolo dell'universo siamo in grado di muovere tutta la rete.

Armonia e conflitto, due espressioni di interdipendenza
Non aspettiamoci che per il semplice fatto di aver "capito" come funziona il mondo si riesca a vivere in armonia e in unità. Mettersi concretamente in relazione con l'altro spesso porta al conflitto. Anche Ikeda, come tante tra le più importanti personalità del nostro tempo impegnate nella costruzione di un mondo pacifico, nella sua Proposta di pace del 2005 ci invita a riconoscere, accanto all'indiscutibile positività dell'armonia, anche il valore della contraddizione e del conflitto.
Se accettiamo l'evidenza che la realtà della vita è una lotta, una lotta che ci fa scegliere tra dentro e fuori, tra ottimismo attivo e pessimismo passivo, quella battaglia interiore che ci porta ad anteporre il "mi riguarda" al "me ne infischio", allora affrontare i conflitti con coraggio diventa il mezzo principale per rafforzare e plasmare la nostra umanità. «Se rifiutiamo di operare discriminazioni in base a stereotipi o a limitazioni imposte - scrive Ikeda - possiamo riconoscere l'unità che soggiace sia alla relazione positiva che a quella negativa, e impegnarci con tutta la nostra energia vitale in un dialogo in grado di trasformare anche il conflitto in un legame positivo».7

Non oserei mai disprezzarvi...
Sentire che "mi riguarda" è andare al di là di quelle parole che generano in noi un arroccamento difensivo - e senza deroghe - sulle nostre posizioni o sui nostri sentimenti. Accettare in ogni caso la legittimità del punto di vista dell'altro non significa necessariamente essere d'accordo con quel punto di vista, ma partire da lì e trovare altro che lega.
Sentire che "mi riguarda" è alzare il livello della relazione. «Non oserei mai disprezzarvi, perché voi tutti conseguirete certamente la Buddità»,8 diceva il bodhisattva Mai Sprezzante. Questa frase può avere infinite traduzioni nei nostri incontri quotidiani. Forse è aprire il cuore per primi, senza timore di essere incompresi. Vincere la timidezza, la pigrizia, il giudizio e cominciare il dialogo. È andare in profondità, mettersi in gioco senza paura di perdere qualcosa.
Ed è anche questo un processo di spostamento dal "piccolo io" emotivo ed egocentrico al "grande io" che abbraccia l'altro a prescindere da tutto. Ma ciò accade solo se l'altro "mi sta a cuore". Quindi, purtroppo, non con tutti. Noi recitiamo Nam-myoho-renge-kyo proprio per rendere sempre più grande questo cuore. Lo stesso Nichiren pregava con tutte le sue forze per provare dentro di sé l'invincibile desiderio di salvare tutti gli esseri viventi: «Io feci il voto di risvegliare in me il potente cuore dell'Illuminazione [equivale al voto del bodhisattva di salvare tutti gli esseri senzienti] e di non retrocedere mai».9
E sempre il Daishonin, nel suo fondamentale trattato Adottare la dottrina corretta per la pace del paese, espresse molto esplicitamente - e in maniera sorprendentemente attuale - il concetto dell'interrelazione di tutti i fenomeni: «Se vi preoccupate anche solo un po' della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l'ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quartieri del paese».10
Quando Manjushri, uno dei principali discepoli di Shakyamuni, chiese al mercante Vimalakirti, simbolo della compassione nel Buddismo mahayana, quale fosse la causa della sua malattia, egli rispose: «Poiché tutti gli esseri viventi sono malati, io sono malato».11
Io e gli altri, gli altri ed io. È impossibile chiamarsi fuori ma - potremmo aggiungere - se Vimalakirti decide di guarire possono guarire tutti gli esseri viventi.
Quanto più forti sono l'interesse e la compassione che proviamo per gli altri, cioè quanto più viviamo in accordo con il "motore" dell'interdipendenza, la felicità di tutti gli esseri, tanto più desideriamo cambiare per primi. E la potente spinta che siamo in grado di imprimere al processo di cambiamento trae origine da quanto questo cambiamento "ci riguarda".

Se mi riguarda, posso
Percepire che siamo interdipendenti ci rende potenti, capaci di influenzare la realtà. E più elevata è la nostra condizione vitale più forte e illuminato è il nostro potere, più forte e illuminata è la nostra influenza. Mentre la vita nel mondo di Inferno ha il potere dell'autodistruzione e la vita nel mondo di Umanità ha il potere dell'autocontrollo, la vita nel mondo di Bodhisattva ha il potere di alleviare le sofferenze degli altri, ha una portata cosmica. «Professor Rotblat - domanda Ikeda - come vede il futuro dell'umanità? È ottimista o pessimista?».
«Sento di dover essere ottimista - risponde lo scienziato. - Qual è l'alternativa? Soccombendo al pessimismo non faremo che accelerare la nostra distruzione. L'unica opzione ragionevole è essere ottimisti. Sì, bisogna fare uno sforzo per essere ottimisti; io non lo sono per natura. Quando dico che sono ottimista non è perché credo che le condizioni del mondo miglioreranno spontaneamente. Nulla cambierà, se non ci sforziamo di rendere questo pianeta un posto migliore. Ogni persona, per quello che gli è possibile, deve contribuire a questo sforzo».
«Il vero ottimista - aggiunge Ikeda - è colui che capisce la dura realtà delle cose, eppure ha la determinazione di superare qualsiasi ostacolo e confida nell'illimitato potenziale dello spirito umano. E alla fine sono le azioni che sostanziano queste convinzioni. Il Buddismo di Nichiren, di cui io sono un praticante, pulsa di questo impavido ottimismo. [...] Nichiren diffuse il Buddismo in mezzo alle avversità, e operò concretamente per la felicità delle persone. In tutto il suo insegnamento regna un coraggioso ottimismo che ci dà la forza di superare ogni ostacolo e di realizzare un cambiamento. Un atteggiamento pessimistico non può produrre alcuna energia creativa».
«È vero - conclude Rotblat - io vivo secondo l'etica dell'ottimismo. Non è un sentimento religioso, ma per certi versi è simile al suo sentire religioso. Dottor Ikeda, pur partendo da posizioni diverse, lei e io arriviamo alle stesse conclusioni».12

Note

1) Citato in Buddismo e società, n.88, p. 23.
2) Nichiren Daishonin, Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza, in Buddismo e società, n. 119, p. 13.
3) Ibidem, p. 43.
4) Ibidem, p. 44.
5) Joseph Rotblat e Daisaku Ikeda, Dialoghi sulla pace, Sperling &amp; Kupfer, 2006, pp. 156-157.
6) Daisaku Ikeda, Per il bene della pace, Esperia, 2003, pp. 41-42.
7) Buddismo e società, n. 110, p. 11.
8) SDL, 355.
9) WND, 1, 240; SND, 1, 109.
10) SND, 1, 43.
11) Citato in Buddismo e società, n. 119, p. 43.
12) Rotblat e Ikeda, op. cit., pp. 160-161.

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Mi riguarda

Il legame invisibile dell'"origine dipendente" che unisce ogni essere

di Gianna Mazzini

OGNI ESSERE È INDISSOLUBILMENTE LEGATO DA MIGLIAIA DI FILI INVISIBILI AGLI ALTRI ESSERI E ALL'AMBIENTE CIRCOSTANTE. ECCO UN MODO DI RAPPRESENTARE LA TEORIA DELL'ORIGINE DIPENDENTE, O ENGI, DOVE QUEL LEGAME INVISIBILE SI IDENTIFICA CON L'AMICIZIA, L'AMORE E TUTTE LE ALTRE POSSIBILI RELAZIONI: CON LA MATERIA VIVA CHE È L'UMANITÀ

Anche se non si vedono, esistono milioni di fili fra noi.
Invisibili come le onde radio, come le traiettorie degli uccelli o le strade dei pesci, o come i percorsi dei miei pensieri.
Sono sentieri invisibili eppure autentici, che rivelano una verità: non c'è niente e nessuno nell'universo che sia davvero separato dal resto. Al contrario, ognuno di noi si manifesta solo grazie alla sua relazione con altro e altri.
Questa è engi, la teoria dell'origine dipendente. Se la accettiamo davvero, cioè se siamo capaci di comportarci di conseguenza, diventa più difficile continuare a vivere senza rispetto e a coltivare il pensiero di poter raggiungere la felicità indipendentemente dagli altri.
Quando mi immagino come un'individua separata dal resto casco in una bolla d'aria, scivolo in una condizione fasulla, che è la materia prima della mia sofferenza. La strada che mi fa uscire dal tunnel è la rivoluzione umana, che mi porta a liberarmi dall'illusione delle separazioni e alla consapevolezza di un'appartenenza più profonda.
Questo dice la teoria di engi: ogni essere è indissolubilmente legato da migliaia di fili invisibili agli altri esseri e all'ambiente circostante.
Ma di cosa sono fatti questi fili?
Possono essere fatti d'amore, di parentela, d'amicizia, di relazioni professionali, di conoscenze più o meno occasionali.
In genere noi intendiamo questi temi come caselline separate e da barrare: ce l'ho, mi manca. Eppure secondo il Buddismo la relazione umana è fatta sempre della stessa pasta. Perché parte sempre da me e riguarda il modo in cui mi metto in contatto con gli altri.
È da smontare l'idea che ci siano diversi modi di comportarsi a seconda della categoria di relazioni. In amore così, in amicizia cosà.
Da smontare l'idea che l'amore sia un po' come una guerra, qualcosa in cui per ottenere quel che vogliamo è lecito tutto. Da smontare l'idea che le relazioni di lavoro "servano" e vadano usate opportunisticamente o che la socialità debba essere per forza il trionfo del nulla.
Che io sia fantastica con i miei amici e carogna con gli altri, o che io mi comporti correttamente solo con quelli che stimo, non crea valore nella mia vita. C'è da sostituire all'idea di misurarsi con gli altri quella di diventare noi come quelli che vorremmo intorno.
Lavoro con gli altri come vorrei che gli altri lavorassero con me?
Amo come vorrei essere amata?
Sono l'amica che vorrei?
Per avere un amore bello, ad esempio, potrei curare con grande attenzione anche tutti gli altri tipi di relazioni e non soltanto quello. Il mio comportamento in ogni tipo di relazione, anche la più occasionale, dovrebbe avere la stessa qualità. Certamente cambierà l'intensità a seconda della profondità della relazione, ma è della stessa pasta che sono fatte le amicizie, gli amori e tutte le altre possibili relazioni.
La pasta di cui sono fatte è l'umanità.
È "umana" una situazione, una persona che rivela qualcosa di imprevisto; calore, sensibilità. È umano chi non si tira via, chi non chiama in soccorso schemi, astrazioni o regole. Erano profondamente umani quelli e quelle che in tempi di abominio si spendevano per salvare altre vite dall'orrore delle leggi degli stati. Erano umani quelli che in tempi di schiavitù trattavano i neri da simili. Sono umani quelli che si commuovono. O stanno dritti mentre tanti si piegano. Perché l'umanità ha qualcosa di speciale. Rompe la struttura rigida, passa dal tetto, apre una crepa e da lì entra il sole.
È materia viva l'umanità: qualcosa che sembra invisibile e invece c'è. E te ne accorgi se c'è. Perché l'umanità non è qualcosa che si spende da soli. È la riga che unisce, è un filo. E io ne ho un capo in mano. Dunque non c'è relazione che mi veda mai impotente, perché se tiro il mio capo del filo muovo, inevitabilmente, anche l'altro capo. E recitando Daimoku sinceramente quel filo può brillare, magari trasformarsi da latta in oro.
Dicono che stiamo vivendo un momento in cui l'umanità è diventata merce rara. Tanto che ce la si scambia solo tra simili. Come avviene in povertà. L'unico panino che ho lo divido con mio figlio, col mio amore, con la mia famiglia. E gli altri facciano altrettanto.
Mi viene in mente una favola.
Una persona chiede a un buddista cosa sia l'inferno. E lui lo porta a vederlo, l'inferno. È dentro una sala larga e luminosa, riccamente imbandita di ogni prelibatezza: file di tavoli con tovaglie splendide e splendide posate preziose e cascate di frutta e composizioni di cibi straordinari. Ma le persone che sono lì sono tutte tristi e disperate perché hanno, alle estremità delle braccia, delle bacchette lunghe quanto le braccia che impediscono loro di portare il cibo alla bocca e dunque di poter godere di tutta quella magnificenza. Avere tutto a portata di mano e non saperlo cogliere è l'"inferno".
E il paradiso buddista? Quello com'è fatto?
Ti ci porto, dice il primo, e i due vanno dentro una sala larga e luminosa uguale in tutto e per tutto a quella dell'inferno. Stesse file di tavoli imbanditi, stesse prelibatezze. Ma lì sono tutti felici, anche se anche loro hanno le bacchette lunghe attaccate alle braccia che gli impediscono di arrivare ai cibi e portarseli alla bocca. Sono felici perché si imboccano a vicenda.
Eccola: l'umanità.

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I fili

La teoria dei dieci fattori insegna che solo lucidando il nostro specchio interno possiamo trasformare la sofferenza e l'ambiente esterno

di Lodovico Prola

PER TRASFORMARE UNA RELAZIONE CHE CI FA SOFFRIRE SPESSO CERCHIAMO DI CAMBIARE L'ALTRA PERSONA, MA È COME BUTTARE VIA LO SPECCHIO CON L'IMMAGINE SGRADITA: LA TEORIA DEI DIECI FATTORI INSEGNA CHE SOLO LUCIDANDO IL NOSTRO SPECCHIO INTERNO POSSIAMO TRASFORMARE LA SOFFERENZA E L'AMBIENTE ESTERNO

Avevo da poco iniziato a praticare il Buddismo e mi ero tuffato anima e corpo nello studio della sua profonda filosofia. La mia comprensione era decisamente teorica, ma prendeva vita e diveniva concreta di momento in momento, ogni volta che rileggevo gli episodi della mia vita quotidiana alla luce dei principi che con passione e costanza avevo studiato.
Un giorno una ragazza del gruppo di cui ero appena divenuto responsabile mi chiese di incontrare un suo amico per parlargli del Buddismo. Si presentò con un giovane giornalista dall'aria saccente e strafottente, che non mancava occasione di sfottere e di attaccar briga. Provammo a recitare Daimoku, ma si alzò e, lasciata la mia stanza, si mise a girare per casa (ero ancora dai miei) facendomi definitivamente perdere la pazienza: «Ma chi diavolo mi hai portato?! - chiesi poi alla mia amica - È davvero arrogante e insopportabile!». «Bravo - mi disse - non sta affatto bene, ed è per questo che ho voluto che lo conoscessi. Dobbiamo assolutamente fare qualcosa per lui!». Quelle semplici parole aprirono uno squarcio nella mia vita, una sorta di piccola e profonda Illuminazione. Il principio buddista dei dieci fattori1, che tante volte avevo letto e studiato nella teoria, improvvisamente diveniva chiaro, concreto e lampante. Come mai quella persona a me "faceva soffrire", facendomi andare su tutte le furie, e alla mia amica suscitava compassione, accendendo in lei il desiderio di aiutarla a tutti i costi?
Il problema, il mio problema, non era che quella persona aveva un qualche difetto, ma che io ne soffrissi. «Certo - pensai allora - occorre aiutare quella persona, ma questa è un'altra questione. Devo fare qualcosa per curare la mia sofferenza. Devo in fretta cambiare qualcosa dentro me stesso».
Analizziamo la questione alla luce della teoria dei dieci fattori concentrandoci in particolare su quattro di essi: la causa interna, la causa esterna o relazione, l'effetto latente e l'effetto manifesto. La causa interna è la causa karmica, cioè l'azione verbale mentale e fisica posta nel passato che giace latente nella nostra vita. Legato inscindibilmente alla causa interna, esiste dentro di noi un corrispondente effetto latente. Siamo abituati a considerare causa ed effetto separati da un lasso temporale, ma nella profondità della nostra vita causa interna ed effetto latente si formano contemporaneamente. Stimolato da una causa esterna appropriata, l'effetto latente collegato alla nostra causa interna diventerà manifesto. Potremmo dire, rischiando forse di semplificare la questione, che se la causa karmica era un'offesa alla vita l'effetto sarà la sofferenza, mentre se la causa karmica era un'azione (a uno qualsiasi dei tre livelli di pensieri, parole e azioni) volta a sostenere o lodare la vita, l'effetto sarà felicità. L'intensità dell'effetto dipenderà dalla forza e dalla natura della causa.
La causa esterna o relazione è il settimo dei dieci fattori. Potremmo dire che tutti i problemi di relazione siano in qualche modo legati alla comprensione del funzionamento di questo settimo fattore. L'altro non è che un catalizzatore che fa sì che la forza vitale si muova in risposta alla causa interna. Ogni attività della nostra vita avviene come risultato o risposta a qualche stimolo esterno. Ma la vera causa è la causa interna all'essere umano.
Anni fa Mitsuhiro Kaneda, attualmente direttore generale onorario dell'IBISG, spiegò il funzionamento di questi quattro fattori facendo un chiarissimo esempio: immaginiamo che la nostra mano destra sia la nostra causa interna e quella sinistra la causa esterna. Affinché si manifesti l'applauso, cioè un effetto manifesto, occorrono entrambe le mani. Se esiste solo la causa interna, ma non c'è l'occasione appropriata, non si produrrà nessun effetto. Così nella nostra vita ci possono essere molte cose da sistemare, ma finché non viviamo accanto agli altri, difficilmente ce ne accorgeremo. Per questo è così importante (e talvolta difficile) vivere nella comunità buddista.
Analogamente se c'è solo la causa esterna, ad esempio una persona che si comporta male con noi, ma non c'è alcuna causa interna da innescare, non si manifesta alcun effetto, cioè non proviamo alcuna sofferenza. Anzi, se abbiamo uno stato vitale alto sentiremo compassione. Possiamo perdere tempo quanto vogliamo prendendocela con gli altri per la nostra sofferenza, ma se davvero vogliamo cambiare la situazione occorre agire sulla causa interna. Continuare a pensare "l'altro mi fa soffrire" oppure "lui è il colpevole e io la vittima" non porta molto lontano ed è decisamente una visione assai poco buddista.
Talvolta si dice che le persone che ci circondano funzionino come uno specchio che può mostrare ciò che nella nostra vita dobbiamo sistemare. Se soffro ad esempio per una relazione sentimentale, posso liberamente pensare che sarò felice solo quando il mio partner cambierà. Posso litigare tutti i giorni intimandogli di cambiare, oppure posso decidere di desistere e cambiare partner. Ma è come se volessimo pulire, rompere o sostituire uno specchio. In genere il risultato non cambia. «Risveglia in te una profonda fede e lucida il tuo specchio notte e giorno. Come puoi lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo» (SND, 4, 5).
Quello che suggerisce il Buddismo è di "pulire" noi stessi, trasformando il nostro karma. Occorre assumersi la responsabilità di ogni aspetto della nostra vita, comprese le relazioni più difficili, e decidere di partire da sé. Come al solito tutto inizia quando si smette di incolpare gli altri della propria sofferenza e si decide di cambiare se stessi. Solo allora la sofferenza svanisce e potremo trasformare anche le persone e l'ambiente circostante.

Note

1) I dieci fattori dell'esistenza sono: Aspetto, Natura, Entità, Potere, Influenza, Causa interna, Causa esterna (relazione), Effetto latente, Effetto manifesto, Coerenza dall'inizio alla fine.

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Come davanti allo specchio

Il principio di esho funi: stabilire la Buddità in noi per orientare la vita e l'ambiente

di Jacopo Minio Paluello

L'AMBIENTE CIRCOSTANTE RIFLETTE FEDELMENTE LA NOSTRA REALTÀ INTERIORE: QUESTO IN SINTESI DICE IL PRINCIPIO DI ESHO FUNI. PER QUESTO, TUTTO DIPENDE DA NOI E DALLA CAPACITÀ DI ORIENTARE LA NOSTRA VITA, STABILENDO IL MONDO DI BUDDITÀ COME BASE DI TUTTO CIÒ CHE FACCIAMO

Il principio di "non dualità di vita e ambiente" è uno dei concetti cardine del Buddismo. Esho funi, l'espressione giapponese che identifica questo principio, ne sintetizza perfettamente il senso profondo e la complessità: esho è una contrazione di e-ho (ambiente) e sho-ho (vita/essere vivente) e identifica i due termini della relazione; funi (due ma non due) chiarisce che si tratta di un rapporto di reciprocità, un legame indissolubile.
Il suffisso ho(effetto, manifestazione, retribuzione), presente in entrambi i termini, sottolinea che gli effetti del karma sono presenti e spesso visibili sia nell'individuo che nel suo ambiente.
Le retribuzioni karmiche, siano esse positive o negative, si manifestano nei nostri personalissimi ambienti, nelle tendenze individuali e anche nelle relazioni con gli altri; l'ambiente a sua volta influenza la nostra percezione della realtà e le nostre scelte: «È un comune difetto umano dare la colpa delle proprie sofferenze ai fenomeni esterni - le altre persone, le circostanze al di fuori del nostro controllo e così via - anziché cercarne le cause dentro se stessi. Ma se assumiamo la non dualità della vita e del suo ambiente come principio base della nostra vita, acquisiamo la consapevolezza che la causa fondamentale di tutti i nostri problemi non si trova nell'ambiente bensì dentro di noi» (Daisaku Ikeda, I misteri di nascita e morte, Esperia, 1998, p. 167). Gli individui dunque hanno la potenzialità di trasformare e modificare il proprio ambiente tramite un cambiamento interiore, stabilendo una tendenza vitale elevata e compassionevole che produrrà a livello individuale un'illimitata saggezza e, nell'ambiente, una splendente buona fortuna.
L'ambiente esterno riflette fedelmente la nostra realtà interiore, tutto dipende da noi e dalla capacità di orientare la nostra vita e «stabilire il mondo di Buddità come base di tutto ciò che facciamo» (D. Ikeda, op. cit., p. 173).
«Non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente» (SND, 4, 5). Solo attraverso l'applicazione rigorosa di questo principio Nichiren Daishonin, nella situazione di estremo disagio ambientale del suo esilio a Sado, trovò la condizione vitale per scrivere: «Poiché io vedo le cose in questo modo, provo una gioia senza limiti anche se adesso sono in esilio» (SND, 4, 234).

La mia esperienza. Il 2002 è stato un anno veramente duro per me: mi sono separato con grande conflittualità e con un bimbo di appena un anno, ho fatto un brutto incidente in motocicletta, insomma stavo male.
Ancora non praticavo e in quella condizione tendevo a controllare ogni cosa e avevo sempre con me uno zainetto in cui custodivo tutta la mia vita di allora: documenti dell'avvocato, referti medici legali, carte di credito, telefono, agenda, addirittura la fede nuziale.
Un giorno ho perduto quello zaino e ricordo precisamente le lacrime e la profonda disperazione di quando feci la telefonata per bloccare le carte di credito.
Sono diventato membro della Soka Gakkai il 25 febbraio del 2007. La scorsa estate, dopo aver passato una piacevole giornata al mare, andai al Centro culturale di Roma e davanti al Gohonzon ribadii con forza a me stesso la voglia di rivoluzionare la mia vita. Tornato alla moto mi accorsi che non avevo più la giacca con all'interno le solite carte, chiavi di casa, patente ecc.
Ritorno di sera a folle velocità al mare dove avevo lasciato la giacca e nel buio non trovo niente, mi rincorrono i cani da guardia dello stabilimento, scappo e piango, di nuovo.
La notte non chiudo occhio e comincio a recitare Daimoku; continuo a farlo alle sei di mattina sulla spiaggia nell'attesa che qualcuno apra lo stabilimento.
In quel momento ho promesso a me stesso che non sarei più stato in balia della mia vita, che la direzione era quella giusta, che non dovevo mollare.
Alle sette del mattino mi hanno ridato la mia giacca, intatta, con tutto quello che c'era all'interno, ma questa volta dentro non ci avevo lasciato la mia vita.

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La mia vita sono io

Una raccolta di spunti del presidente Ikeda per i giovani insieme a brevi testimonianze dirette

di Alessandra Spila

COME SVILUPPARE LA CONDIZIONE INTERIORE, LA CONSAPEVOLEZZA E LA PROSPETTIVA ADATTE AD AFFRONTARE IN MODO POSITIVO OGNI TIPO DI RELAZIONE? ECCO UNA RACCOLTA DI SPUNTI TRATTI DA SCRITTI DEL PRESIDENTE IKEDA, RIVOLTI SOPRATTUTTO AI GIOVANI, INSIEME A BREVI TESTIMONIANZE DIRETTE DI ADOLESCENTI CHE ABBIAMO RECENTEMENTE INTERROGATO SU QUESTI TEMI

Qual è il segreto di una sana e armoniosa relazione sentimentale? Come si fa a costruire e a mantenere un'amicizia e a sviluppare dei buoni rapporti nell'ambiente familiare o lavorativo? Come si possono stabilire legami di valore all'interno della Soka Gakkai? Ognuno di noi si pone queste domande ogni volta che incontra difficoltà nei rapporti interpersonali. Il Buddismo di Nichiren Daishonin permette di trovare il modo di affrontare queste sofferenze, sviluppando una condizione interiore, una prospettiva e una consapevolezza che influenzano in modo positivo ogni singolo aspetto della nostra esistenza. Anche le relazioni, qualunque esse siano.
Su questi temi il presidente della SGI Daisaku Ikeda si è espresso in molte occasioni. Abbiamo deciso di raccogliere in breve alcuni punti centrali, in particolare per quanto riguarda le relazioni sentimentali, quelle di amicizia e tra compagni di fede.
Su questi stessi temi riportiamo alcune delle brevi e suggestive riflessioni di un gruppo di adolescenti che abbiamo recentemente incontrato al Centro culturale di Roma.

Le relazioni sentimentali
Innanzitutto, prima di entrare nel merito delle relazioni sentimentali, è bene ricordare che «Non c'è felicità più grande per gli esseri umani che recitare Nam-myoho-renge-kyo»,1 come dichiara Nichiren Daishonin nel Gosho Felicità in questo mondo. Vale a dire che, sebbene sia facile credere che la felicità possa derivare da occasioni esterne a noi e quindi anche dalla persona amata, è fondamentale tenere ben presente che la vera felicità è quella dello stato di Budda che si può provare così come si è, in ogni istante, grazie alla recitazione del Daimoku. Anche se si è single o alle prese con un rapporto difficile.
Ciò non significa negare o mettere da parte le pene d'amore, bensì decidere di utilizzare anche queste, per quanto ci possa sembrare impossibile, come preziose occasioni per la nostra rivoluzione umana. Le relazioni sono infatti uno "specchio" della nostra condizione interiore: come ci spiega Ikeda, «le relazioni sentimentali sono un riflesso del nostro stato vitale e lo stesso vale per l'amicizia. Un rapporto meraviglioso si sviluppa in proporzione a quanto si purifica la propria esistenza».2 È necessario quindi non considerare le nostre relazioni come "esterne", ma piuttosto come qualcosa che ci appartiene profondamente e che è quindi possibile trasformare. Sacrificare invece la propria crescita interiore e i propri talenti non conduce alla felicità: «La felicità non è qualcosa che deriva dagli altri, neppure dal proprio innamorato. La si deve realizzare da soli e il solo modo per farlo è sviluppare il proprio carattere e le proprie capacità umane, rendendo concrete nella misura maggiore possibile le proprie potenzialità».3 Affermazioni simili, sebbene possano sembrare molto severe (per esempio per chi vive rapporti conflittuali), in realtà dispongono nella condizione migliore per assumersi la responsabilità completa di qualunque situazione. E sentire perciò il potere meraviglioso di trasformarla nel modo migliore.
In secondo luogo è bene porsi una domanda importante: che cosa intendiamo quando parliamo di amore? Nonostante non sia possibile dare una risposta universale - poiché non esiste un unico punto di vista a riguardo, non ci sono modelli preconfezionati di rapporto adatti a tutti né "leggi" sulla scelta del partner - il Buddismo di Nichiren Daishonin consente di fondare la propria esistenza sulle premesse più adatte per creare una relazione di valore. Oltre che su un profondo rispetto di sé e dell'altra persona, il rapporto di coppia si dovrebbe basare sul desiderio di manifestare le proprie potenzialità e di crescere: «In una relazione sana due persone si incoraggiano a vicenda per conseguire i rispettivi obiettivi e condividere speranze e sogni. Una relazione d'amore dovrebbe essere una continua fonte di ispirazione, energia e speranza».4 
Inoltre il presidente Ikeda incoraggia a non pensare all'amore come all'unica dimensione della nostra vita, valutando meno importanti altri sentimenti e altri aspetti dell'esistenza, trascurando il proprio sviluppo: «Se vi fate prendere da ossessioni o se siete accecati dall'amore al punto da non vedere null'altro, significa che vi state lasciando andare. Qualsiasi cosa accada, fate sempre del vostro meglio per vivere con coraggio e per avere un animo forte».5 Se pensiamo e viviamo l'amore, insomma, come fuga da noi stessi e dal mondo o come prigione che porta alla rinuncia di noi stessi nell'illusione di ottenere così l'approvazione del partner, è bene riflettere seriamente sul senso che attribuiamo davvero alla parola amore. Avendo sempre chiaro che in ultima analisi la vera fonte di felicità risiede nello sviluppare una forte personalità: «Rimanere deboli è il sistema migliore per farsi inseguire dalla sofferenza ovunque si vada: non si trova la felicità senza un cambiamento interiore».6
Un altro aspetto importante da prendere in considerazione riguarda la necessità di non sottovalutare le inevitabili avversità che si presentano nel corso della vita di coppia, per non cadere nell'illusione che il rapporto sia sempre "rose e fiori" ed entrare in crisi di fronte alle prime difficoltà che possono così diventare causa della fine della relazione.

L'amicizia
A dispetto dell'incredibile progresso della tecnologia che ci permette oggi di comunicare in tempo reale con ogni parte del pianeta, l'incomunicabilità e il senso di isolamento dell'individuo non sono affatto venuti meno e l'esistenza di molti appare segnata da profonda solitudine. In un contesto simile, il vecchio proverbio "chi trova un amico, trova un tesoro" appare ancora più vero. Ciò nonostante, come per le relazioni sentimentali, anche le amicizie riflettono il nostro stato vitale e quindi l'unico vero modo per creare e sviluppare dei rapporti profondi consiste nel "lucidare" la nostra esistenza. Come dice ai giovani il presidente Ikeda, «è importante comprendere che l'amicizia dipende da voi, non da un'altra persona. Tutto dipende dal vostro atteggiamento e dal vostro impegno. Spero che non sarete quel tipo di "amico" con cui passare soltanto ore spensierate, che aiuta gli altri solo nelle buone circostanze per poi abbandonarli quando si presentano i problemi; piuttosto dovreste diventare quel tipo di persona che sta con i suoi amici con lealtà incrollabile nella buona e nella cattiva sorte».7
Quello che conta è, anche in questo caso, impegnarci in prima persona: «Dovremmo sforzarci di diventare quel tipo di amico che ha un effetto positivo e incoraggiante sugli altri. In oriente l'orchidea8 simboleggia una persona dal carattere nobile. Vi prego quindi di sviluppare il vostro carattere in modo tale da emanare la stessa fragranza di una bella orchidea».9Una vera amicizia quindi nasce dalla capacità di guardare il proprio cuore e riconoscere quello altrui al di là delle apparenze, con la convinzione che «le persone valide attirano persone valide»,10 curando ogni singolo incontro anche se il tratto da percorrere insieme durerà un periodo breve. Infine è estremamente importare chiedersi sempre quale influenza un amico eserciti su noi stessi: dal momento che essa può essere più forte di qualsiasi altra, accompagnarsi a persone autodistruttive ci può condurre alla sofferenza.

I compagni di fede
«In giapponese la parola usata per indicare gli esseri umani, ningen, è scritta con i due caratteri cinesi che significano "persona" (nin) e "tra" (gen), per esprimere l'idea che gli esseri umani esistono pienamente solo nella relazione tra loro. Nessuno di noi può vivere solo e per questo motivo incontrare tanti problemi nelle relazioni umane è un aspetto inevitabile della vita».11 Incomprensioni e difficoltà fanno parte dell'esistenza e quindi non dovremmo stupirci che ciò avvenga anche all'interno della Soka Gakkai, tra compagni di fede. Inoltre, come molti avranno già sentito dire, questi episodi rappresentano occasioni importanti per il nostro cambiamento. Saper trasformare gli attriti in unità rappresenta un fattore che determina la vittoria o la sconfitta non solo della rivoluzione umana della singola persona, ma anche del progresso di kosen-rufu.
In effetti, l'altra relazione umana che si basa sulla Legge, oltre a quella maestro-discepolo - fondamento della pratica corretta e della propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin - è proprio «quella tra compagni di fede, espressa idealmente nel principio di "diversi corpi, stessa mente"».12 «"Diversi corpi" indica la consapevolezza che la missione, le capacità e le circostanze di vita di ognuno di noi sono uniche. "Stessa mente" significa che nonostante la nostra individualità dobbiamo essere uniti nello spirito».13 La comunità dei credenti costituisce il mezzo attraverso il quale ogni singolo praticante può rivelare il proprio straordinario potenziale attraverso l'aiuto e il sostegno reciproco. La Soka Gakkai quindi svolge la funzione del Budda, permettendoci di diventare felici insieme agli altri.14
Eppure, sebbene possa essere chiaro a parole, valorizzare le differenze e cercare di sottolineare le qualità degli altri anziché gli aspetti che meno ci piacciono può rivelarsi una sfida molto impegnativa che a volte preferiamo non raccogliere. Le ultime quattro delle quattordici offese15 di cui parla il Daishonin, mancanza di rispetto, odio, gelosia e rancore, si riferiscono proprio ai rapporti tra praticanti. Le sue parole sono inequivocabili: «Nel quarto volume del Sutra del Loto si legge: "La colpa di pronunciare una sola parola sprezzante contro chi abbraccia e predica il Sutra del Loto, che sia un monaco o un laico, è più grave della colpa di insultare direttamente il Budda Shakyamuni per un intero kalpa"».16
Il sentimento che dovremmo più cercare dentro di noi, come ci insegna Nichiren e come ci ripete spesso il presidente Ikeda nei suoi discorsi, è invece la gratitudine. «Il modo giusto e umano di vivere consiste nel ricordare sempre il debito di gratitudine che abbiamo nei confronti dei nostri maestri e dei nostri amici».17
Può apparire un atteggiamento poco naturale in alcune circostanze, è vero, ma rappresenta di per sé la causa per la risoluzione dei problemi interpersonali e anche causa fondamentale di buona fortuna.
In definitiva, come sottolineava recentemente Sakae Takahashi, responsabile della Soka Gakkai europea, nella relazione tra praticanti così come in quella ad esempio tra coniugi, l'importante è la direzione del nostro "sguardo", cioè della nostra intenzione, del nostro spirito. Se siamo rivolti l'uno verso l'altro finiremo per soffermarci sui difetti, perdendo tempo a rimproverarci. Se invece il nostro sguardo è rivolto in avanti, verso kosen-rufu naturalmente, non avremo tempo per guardare i difetti dell'altro ma ci aiuteremo per raggiungere prima possibile la nostra meta comune.

Note

1) SND, 4, 157.
2) Daisaku Ikeda, I protagonisti del XXI secolo. Dialoghi con i giovani, vol. I, Esperia, p. 64.
3) Ibidem, p. 63.
4) Daisaku Ikeda, I protagonisti del XXI secolo. vol. I, Esperia, p. 59. A questo proposito, cfr. anche Daisaku Ikeda, In cammino con i giovani (in particolare il capitolo III, "L'amore"), Esperia.
5) Daisaku Ikeda, In cammino con i giovani, Esperia, p. 35.
6) Daisaku Ikeda, I protagonisti del XXI secolo. vol. I, Esperia, p. 63.
7) Ibidem, p. 40.
8) In questo caso Ikeda riprende la metafora dell'orchidea di Nichiren Daishonin (WND, 1, 7).
9) Daisaku Ikeda, I protagonisti del XXI secolo. vol. I, Esperia, p. 49.
10) Ibidem, p. 44.
11) Ibidem, vol. II, p. 55.
12) MDG, 1, 140. Sul principio di Itai doshin, cfr. anche: SND, 5, 171.
13) MDG, 1, 143.
14) cfr. anche Daisaku Ikeda, Lezioni su L'eredità della Legge fondamentale della vita, puntata n. 8, questo giornale, p. 48.
15) SND, 4, 171. Le 14 offese sono: arroganza, negligenza, giudizi arbitrari, conoscenza superficiale, attaccamento ai desideri, mancanza di comprensione, mancanza di fede, disprezzo, dubbio, calunnia, mancanza di rispetto, odio, gelosia, rancore.
16) SND, 4, 174.
17) Il Nuovo Rinascimento, n. 374, 15 maggio 2007 (in Discorsi di Daisaku Ikeda).

INCONTRO CON: 

Arianna, 14 anni
Ho sempre avuto brutti rapporti con i miei compagni di classe. Per sette anni mi hanno escluso e trattato male. Ho recitato Daimoku per questo problema fin da quando ho conosciuto il Buddismo, perché è brutto non avere neanche un amico. Forse ero un po' immatura di carattere e in certe occasioni mi comportavo da bambina. Ma ora penso di aver cambiato il modo di rivolgermi alle persone, il mio comportamento. Oggi in primo liceo, nella nuova scuola, ho realizzato il mio obiettivo. I rapporti con i miei compagni sono cambiati tanto, ho dei veri amici, un gruppo mio, e sono veramente contenta per questo.
Però in campo sentimentale sono ancora molto sfortunata, perché ho quasi quindici anni e non sono mai stata fidanzata. Il fatto è che a me a volte i ragazzi piacciono, però quando ne incontro uno e cerco di conoscerlo quello non mi guarda nemmeno, forse perché non sono tanto alta, perché sembro più piccola. È un problema orribile, infatti ci sto praticando tantissimo. Non so come fare, ma devo crescere.

Lucilla, 15 anni
Quando sono arrivata al liceo sono andata in classe con la mia migliore amica e con un altro amico, Giulio, con cui ho subito cominciato a litigare per cose di poco conto, che però a me davano molto fastidio perché lui si credeva in diritto di giudicarmi. Allora io ho deciso di praticare per chiarire con lui, ma abbiamo cominciato a litigare più forte di prima. Ad aprile, poco prima del campo scuola, mi sono detta che non sarebbe stato possibile passare cinque giorni a stretto contatto in quella situazione. Ho aumentato la pratica, ho recitato Daimoku con più concentrazione, e proprio l'ultimo giorno del campo scuola Giulio si è seduto vicino a me e mi ha chiesto se potevamo parlare. Gli ho detto sinceramente quanto mi ferivano le sue critiche, lui si è aperto con me e alla fine abbiamo chiarito veramente. Ora la situazione va pian piano migliorando.

Ayumi, 12 anni
Io ho un problema: i miei genitori sono separati da quando avevo tre anni e in questo periodo il rapporto con mio padre sta lentamente scomparendo; non lo sento mai e questo è un grande vuoto che si sta consolidando in me. Io cerco di fare il massimo per dimostrargli che gli voglio bene e che tengo moltissimo a lui. Ci sto praticando veramente tanto. Mia madre mi ha detto che più sono precisa nel pormi gli obiettivi meglio è, e allora io ho stabilito che ogni martedì e ogni venerdì devo sentire mio padre al telefono e parlare con lui per almeno venti minuti. Voglio coinvolgerlo nella mia vita scolastica e anche in quella sentimentale, visto che sto entrando nell'adolescenza. Spero di realizzare questo obiettivo entro la fine dell'anno, perché fra poco arriveranno le pagelle e a scuola sono molto brava: vorrei che lui mi manifestasse quell'affetto che, stando lontano, non sempre
riesce a esprimermi.

Michela, 13 anni
Io ho cominciato a praticare due anni fa qui al kaikan, mi sono messa davanti al Gohonzon e ho iniziato a recitare Daimoku da sola. La pratica mi ha cambiato la vita: prima l'ambiente era grigio, ora vedo le cose più colorate e più vivaci. In terza media ho detto ai miei compagni che ero buddista e loro hanno cominciato a escludermi, mi prendevano in giro e io non sapevo perché, piangevo. Ho recitato Daimoku per questa sofferenza e una notte ho sognato il presidente Ikeda che mi diceva di non piangere, perché gli amici li avrei comunque trovati. Ancora non li ho trovati a scuola, ma li ho trovati qui al kaikan e sono molto felice, penso a loro e sorrido.

Rossella, 15 anni
La mia è un'esperienza un po' strana che riguarda un ragazzo che conosco da sempre. Inizialmente ci odiavamo, ci facevamo i dispetti. Io ho praticato tanto per questa cosa, infatti alle medie siamo andati a scuola insieme e siamo diventati molto amici. Adesso lui piace a tutte le mie amiche e comincia a piacere pure a me. Però non so quali siano i suoi sentimenti, a volte è un po' distaccato altre volte è più vicino. Non riesco neanche a capire se mi piace veramente oppure no. Non so se farmi avanti... Sto recitando Daimoku per capirci qualcosa.

DOMANDA: Rispetto a quello che sta accadendo in questo periodo nella società non vi è mai venuto in mente di pensare: se qui ci fosse il Buddismo si potrebbe cambiare qualcosa?

Ayumi
La mia ambizione più grande è andare all'università Soka in America, laurearmi e diventare presidente dell'ONU. So che è un progetto molto ambizioso, ma voglio trasformare l'impossibile in possibile. In uno zadankai si parlava del fatto che ognuno di noi ha dei limiti, e che se non ci fossero i limiti la pratica non esisterebbe perché è uno strumento per superarli e arrivare a quello che uno non si aspetta per niente, l'impossibile. Penso che gli organismi internazionali siano veramente importanti e utili nella situazione in cui si sta calando il mondo. I problemi ambientali, il peso del denaro sulla società, sono tutte questioni che sarebbe meglio regolare. Quindi io vorrei diventare presidente dell'ONU per migliorare la situazione che sta invadendo il pianeta. Tanti amici mi ridono in faccia, dicono che non ci arriverò mai, ma io ci tengo veramente e ci credo.

Lucilla
Nel Buddismo c'è una grande apertura. Io vedo mia madre che grazie alla pratica ha un sacco di energia, non posso dire che non si arrabbia mai però è molto paziente, e secondo me questa qualità l'ha sviluppata anche con vent'anni di pratica.
Anche quando vengo al kaikan sento un'atmosfera molto più rilassata, siamo tutti sullo stesso piano, certe cose superflue, che fuori contano molto, qui non sono importanti... Vedendo la situazione in Italia penso proprio che un aiuto buddista in più servirebbe. Io per esempio voglio fare la regista, però nel caso non mi riuscisse mi piacerebbe entrare nel mondo della politica perché credo che una mentalità diversa da quella che c'è ora servirebbe molto, un pizzico di Buddità in più...

Grazie ad Angelica, Arianna, Ayumi, Carlotta, Giorgia, Lucilla, Michela e Rossella.

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Questioni d'amore... e di amicizia

In prima persona

In prima persona

di Alessandra Fornasiero

Recito Daimoku ma l'ansia aumenta, questa volta chissà perché non riesco proprio a trasformare. Ci sono ricascata con tutte le scarpe. La mia vecchia paura di non farcela, di non essere abbastanza brava, o preparata... è la presenza di mio padre che mi fa questo effetto. Da anni ormai faccio visite guidate, ma ogni volta che c'è lui ripiombo nell'insicurezza.
Recito Daimoku in difesa, per non farmi condizionare, ma so già come andrà: magari nessuno se ne accorge, ma io a vederlo in prima fila che mi ascolta così teso perdo il contatto con quello che dico. È un corpo a corpo con l'emotività, che mi accompagna da un quadro all'altro. Una lotta per essere me stessa e non farmi schiacciare. Alla fine le persone si avvicinano per complimentarsi ma lui no, resta in silenzio da qualche parte, più stressato di me. Insomma un incubo che questa volta non riesco a sopportare.
Quasi quasi gli chiedo di non venirci proprio. O quanto meno di andarci separati. Ognuno con la sua macchina, così non mi trasmette altra ansia. È una sconfitta, lo so, ma sono stufa di questa sofferenza così puerile, e sono stufa pure di lottare... L'altro giorno gli ho portato un mio articolo uscito su un quotidiano: gliel'ho portato come un trofeo, ma lui ha detto soltanto: «Che brutto titolo gli hanno dato». Era vero, ma io mi sono sentita come se non lo avessi mai scritto né pubblicato. Sono tornata a casa spezzata e questo senso di frustrazione non avrà mai fondo - pensavo - potrei diventare presidente delle Repubblica e mi darebbe la stessa soddisfazione, cioè nessuna... E sì sì, so benissimo che le cose le devo fare per me stessa e non devo dipendere dall'approvazione di nessuno... Ma questa è la mia sofferenza.
Insomma ormai deliro, mancano due o tre ore alla visita guidata e io mi sento esausta. Tutto mi sembra svuotato di valore e senza senso, perfino questo pittore strepitoso, che amo così tanto.
Continuo a recitare. Ora immagino il viso di mio padre, così attento, così fragile, così segnato dalle emozioni, che si immedesima ogni volta come se fosse lui a parlare. Quanta sensibilità, mi dico, e quanto amore, ma come fa senza neppure il Daimoku per trasformare? «Ma certo che lo accompagno io!» prorompo di slancio davanti al Gohonzon, come posso pensare di lasciarli andare soli, i miei genitori! Almeno non dovranno preoccuparsi del parcheggio!
È stato come un salto senza rete in quel momento, e ne è scaturito improvviso il coraggio di lottare. In quell'istante la mia vita si è aperta e per la prima volta ho percepito con certezza fino a che punto le nostre sofferenze si fanno da specchio e sono collegate. Ora sono totalmente concentrata nel carattere myo e ho la sensazione netta di prendere in braccio mio padre: non ti preoccupare, papi, non vedi che ormai sono forte? Oggi vinco per tutti e due, sarò tranquilla affinché tu non soffra, guarda che meraviglia questi quadri! Non me l'hai insegnato tu l'entusiasmo per l'arte? Si può gioire delle cose belle senza doversi sempre preoccupare...
E anche se forse non è stata delle mie visite migliori, anche se mi pareva di sentire ancora dentro la mia voce tremare, proprio lui si è avvicinato per primo alla fine, era già accanto a me come avesse volato, e «come sei stata brava - mi ha detto - che emozione! è la visita più bella che hai mai fatto!». E sai cosa c'era sul sedile posteriore della mia macchina mentre andavamo insieme alla mostra? Un sacchetto con quaranta fotocopie del mio articolo da distribuire: le aveva preparate mio padre!

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Questa volta ti voglio accompagnare

In prima persona

In prima persona

di Simona Vitale

Quello zadankai mi terrorizzava. Alla riunione precedente io e Liliane, con cui condivido la responsabilità di un bellissimo gruppo, avevamo battibeccato: ne ero uscita con un senso profondo di sconfitta. L'emotività mi aveva sopraffatta, la mia prestazione non era stata affatto soddisfacente! (Infatti soffro di una, a volte paralizzante, ansia da prestazione).
Comunque, mi avvicinavo allo zadankai successivo con una sorta di "broncio" interno, un borbottìo della mente, la pretesa che qualcosa/qualcuno cambiasse perché le riunioni potessero essere un successo. E quel qualcosa, quel qualcuno, non ero certo io!
Poi, un evento di quelli che ridisegnano la vita, ridimensionano tutto come se un velo si squarciasse, passando per un enorme dolore umano. Sento, in quei giorni, una grande gratitudine per il Gohonzon, per la Soka Gakkai, per le tante persone che sono la Soka Gakkai, che offrono la loro vita per ritrovare il senso più vero del nostro essere umani. Percepisco, vicina alla sofferenza della morte, e della morte più crudele, quella di un bambino, l'eternità della vita. E che non c'è tempo da perdere. Mi ricordo che ho promesso di dedicarmi fino in fondo a kosen-rufu:II: e che anche nello zadankai che mi spaventa tanto esiste una grande occasione: posso assumermi tutta intera la responsabilità della felicità delle persone che verranno, posso almeno provarci a unirmi al cuore di Sensei.
Così, prima che arrivi l'ora della riunione, dopo aver pulito la casa con una nuova gioia, mi siedo davanti al Gohonzon per una sfida all'ultimo Daimoku con una vocina piuttosto familiare che mi sussurra che non ce la farò. E sento che dentro la mia vita a ogni pensiero di sfiducia si contrappone il desiderio, la determinazione, che la riunione sia un mattone prezioso per la mia rivoluzione umana e per kosen-rufu:II.
A quello zadankai sono arrivate, finalmente, persone nuove; addirittura un giovane uomo: una vera trasformazione per il karma del nostro gruppo di donne adulte!
E io ho saputo mettere in gioco una nuova me, una me dal "volume" più ampio, dotata di una capacità di accogliere la diversità che non fosse solo d'apparenza. Così, dopo aver usato la strategia del Sutra del Loto, ho "strategicamente" deciso di condividere l'esperienza dura e importante di quei giorni, andando oltre la paura di poter turbare, oltre il pudore che in me è spesso mancanza di coraggio. Ed è stato bello accorgermi che quello che donavo con tutta me stessa andava a comporsi in un disegno perfetto con ciò che tutti gli altri portavano, non una nota strideva ai miei sensi. Avevamo vinto insieme.

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Guardare insieme l'orizzonte

In prima persona

In prima persona

di Maria Antonietta Pira e Maria Chiara Sedda

Alla fine del 1985 alcune persone iniziarono a praticare il Buddismo a Gavoi, un piccolo centro di tremila abitanti nel cuore della Sardegna. Allora la cosa fece molto scalpore, ci furono diversi attacchi da parte della Chiesa e si respirava un clima di diffidenza da parte della popolazione. Comunque siamo andati avanti e siamo cresciuti di numero e in qualità. Negli anni abbiamo anche realizzato diverse attività che ci hanno permesso di presentarci alla società come membri della Soka Gakkai: la mostra I tre costruttori di pace nel 2001, che fu l'occasione per far conoscere il presidente Ikeda e far sì che poco tempo dopo gli venisse conferita la cittadinanza onoraria assieme a sua moglie Kaneko, e la mostra sui diritti umani a Nuoro. Fu una grande vittoria per tutti i praticanti e la diffidenza verso il nostro movimento iniziò a diminuire.
Il nostro paese in passato si era distinto per le sue posizioni tolleranti e pacifiche, per le sue attività culturali all'avanguardia e per l'assenza di episodi di violenza e vendetta che caratterizzano altri centri della Barbagia a noi vicini. Si pensava di essere immuni da tutto ciò. Tuttavia, nel corso di questi ultimi anni, anche il nostro piccolo centro ha visto al suo interno tanti episodi di violenza e degrado: è stato teatro di furti, aggressioni a persone indifese, bullismo nelle scuole, atti vandalici, e si sono diffusi episodi di emarginazione sociale, alcolismo, solitudine, intolleranza e paura. Ma ogni volta, dopo i singoli eventi, tutto pareva tornare alla normalità: la popolazione e le istituzioni, e probabilmente anche noi della Soka Gakkai, sembravamo incapaci di ribellarci e di contrastare tutto ciò con posizioni chiare e forti.
Sul fronte dell'attività buddista il nostro settore, costituito da tre gruppi di praticanti, in maggioranza donne e giovani donne, pareva vivere la stessa stasi dell'ambiente sociale, non facevamo shakubuku e restavamo in un clima generale di stanchezza e disunità.
Ci chiedevamo spesso come conciliare la nostra pratica quotidiana e l'attività con il desiderio di uscire allo scoperto e portare il cuore del nostro maestro tra gli abitanti, ma non ne cavavamo un ragno dal buco.
In occasione dell'ultimo corso estivo arrivarono da parte del presidente Ikeda tre indicazioni molto precise per le donne della Soka Gakkai italiana: realizzare un forte legame tra maestro e discepolo, creare una meravigliosa unità e dimostrare la grandezza del Buddismo nella società basandosi su una profonda preghiera.
Decidemmo di partire da questi tre punti e di incontrarci una volta al mese per recitare Daimoku insieme, con lo scopo di realizzare una grande unità e risvegliarci alla nostra missione in quel luogo. Non sapevamo cosa ci avrebbe permesso di fare un grande salto, nessuno poteva immaginarlo.
Il 27 marzo ci svegliammo tutti con una terribile notizia: i telegiornali nazionali e i quotidiani annunciavano che una nostra concittadina, Dina, una donna di trentasette anni, era stata barbaramente assassinata nella sua casa, in presenza della sua figlioletta di otto mesi, forse per un tentativo di sequestro. È stato uno shock tremendo, una persona che conoscevamo tutti, una vicina di casa era morta proprio nel nostro paese; stentavamo a credere, a realizzare che tutto ciò fosse potuto accadere. Ci risvegliammo bruscamente dal nostro letargo, dall'illusione che mai saremmo stati toccati da simili eventi e che qualcuno dei nostri concittadini avrebbe potuto compiere una simile azione malvagia. Noi membri iniziammo a recitare Daimoku con una forza diversa e già il giorno dopo, senza perdere tempo, dopo aver recitato assieme, decidemmo di far uscire un documento pubblico dedicato a Dina e indirizzato a tutta la popolazione in cui, guidati dal pensiero del nostro maestro, ci esprimemmo come Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai di Gavoi dichiarando la visione nonviolenta del Buddismo e denunciando le ingiustizie e i soprusi che il paese aveva vissuto silenziosamente e passivamente, squarciando anche la nostra illusione e la nostra oscurità. Abbiamo espresso solidarietà alla famiglia e offerto una visione di come un tragico evento possa essere trasformato in una grande occasione di miglioramento personale e collettivo.
Quando siamo andati a dare le condoglianze alla famiglia, in quella tragica circostanza abbiamo detto ai familiari che noi come buddisti stavamo recitando Nam-myoho-renge-kyo per la felicità di Dina e di ognuno di loro. Ci hanno ringraziato increduli, pur se sopraffatti dal dolore.
Siamo stati i primi ad avere la lucidità di dichiarare qualcosa con fermezza e abbiamo iniziato a suddividerci i compiti per portare questo documento personalmente alle figure di spicco del paese, creando occasioni di dialogo e confronto con tutti, iniziando dal sindaco, la vicesindaco, il prete, il preside delle scuole, l'ex sindaco che aveva conferito la cittadinanza onoraria a Sensei e naturalmente a tutte le associazioni e ai cittadini comuni. Uno stralcio del nostro documento è stato pubblicato sui quotidiani regionali e ha ottenuto un grande consenso da parte di molti cittadini.
Abbiamo preso in mano la situazione, partecipando attivamente sia alle iniziative di solidarietà sia collaborando con le istituzioni alla preparazione di un'assemblea pubblica che si sarebbe tenuta di lì a qualche giorno. Prima di tutto, sentendo il dolore di tutti i nostri compaesani e sapendo che c'era un clima di terrore e sospetto, abbiamo deciso di fare una catena di Daimoku di dodici ore al giorno per sostenere tutto e cambiare lo stato vitale del nostro ambiente. Abbiamo mantenuto costantemente la catena per quasi un mese e mezzo.
Il giorno dell'assemblea, che si svolgeva nella chiesa principale del paese alla presenza del vescovo di Nuoro, del sindaco e di tantissimi cittadini, sostenute dal Daimoku di tanti membri sardi, nei nostri interventi abbiamo cercato di portare il cuore del presidente Ikeda, mettendo in evidenza il ruolo dell'individuo come protagonista del cambiamento e sottolineando che dovevamo veramente ripagare un debito di gratitudine verso Dina, perché la sua tragica morte ci stava risvegliando alla nostra missione. La popolazione ha risposto con grande calore e approvazione e il vescovo si è venuto a complimentare con noi personalmente, così come tante altre persone. La sera, dopo la riunione, ci siamo ritrovate a cena con prete, vescovo e sindaco, tra gli sguardi sbalorditi di tante persone, e questo era la dimostrazione che avevamo fatto n el tempo un grande cambiamento agli occhi degli altri: da "figure demoniache" a cittadine degne di rispetto.
Sul fronte dell'attività ci sono stati dei grandi cambiamenti. La costanza nel Daimoku e la disponibilità di tutti anche a fare attività all'ora di pranzo e la domenica (prima intoccabili), ha fatto sì che si creasse una grande unità tra di noi, e soprattutto una consapevolezza diversa del fatto che ognuno di noi ha il compito di realizzare kosen-rufu. Il nostro stato vitale è cambiato, e anche quello del nostro ambiente. Alcune persone che si erano allontanate hanno ripreso a recitare e sono tornate alle riunioni, orgogliose di far parte di questo movimento. E anche chi non pratica ci sta chiedendo sostegno e manifestando stima. Ora ci invitano alle attività sociali come Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e sono bastati dieci minuti di colloquio col sindaco per ottenere la piena adesione del comune e dell'Unione dei comuni della Barbagia a ospitare la mostra Semi di cambiamento a Gavoi il prossimo settembre.
Continueremo a recitare Daimoku sino a che non verranno fuori i responsabili di questo barbaro omicidio e continueremo a sostenere, con l'attività e gli sforzi nella vita quotidiana, i principi di pace e nonviolenza insiti nel Buddismo del Daishonin per farli diventare realtà, esattamente qui dove siamo.

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Grazie a Dina

La qualità della relazione esistente tra noi e gli altri ci riguarda, 
e la trasformazione inizia da noi

Io in relazione

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