«Sarebbe una magnifica stravaganza
di scavalcare tutti insieme i tempi brutti
in un allegro finale: FELICI TUTTI!
Forse, il primo segreto essenziale
della felicità si potrebbe ancora ritrovare.
L'importante sarebbe di rimettersi a cercare». 
(Elsa Morante)

Questo speciale parla di felicità.
Di felicità per tutti e tutte, la sfida millenaria del Buddismo e l'unico futuro per la sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra. Un pianeta che non può più sostenere i ritmi di sfruttamento delle risorse, di inquinamento e produzione di rifiuti a cui la crescita economica del Nord del mondo lo ha sottoposto.
Nelle pagine che seguono si parla di decrescita, sobrietà, sostenibilità: parole che a sentirle per la prima volta suonano di sottrazione, di privazione, di mancanza, in apparente contrasto con la pienezza abbondante della felicità. Ma possiamo scoprire di non essere poi così felici ad accumulare roba, non solo perché la togliamo a qualcun altro ma soprattutto perché ne va del nostro tempo, dei nostri affetti, della nostra Terra. Della qualità del nostro vivere che non può fare a meno delle relazioni con gli altri esseri umani e con l'ambiente.
E allora proviamo a fare un click, un reset, cambiamo punto di vista.
Negli articoli e nelle esperienze che seguono proponiamo vari spunti di riflessione e azione.

&nbsp;

Felici tutti

Decrescita felice e rivoluzione umana

Sostenibilità e Buddismo

di Monica Piccini



Ispirata dall'ingegner Colin Beavan che a New York ha vissuto un anno consumando il minimo indispensabile (per poi raccontarlo in un libro), la conduttrice televisiva Paola Maugeri è stata per tre mesi la protagonista del reality La mia vita a impatto zero, in onda la scorsa primavera su Raitre nella trasmissione E se domani. A lei abbiamo chiesto di raccontarci la scommessa di vivere senza sprechi in una vita che assomiglia alle nostre. Un'impresa non semplice, che le ha regalato però tempo libero e consapevolezza. 
 
A partire da questa tua esperienza, è possibile continuare a inquinare il meno possibile per un lungo periodo, preferibilmente per tutta la vita? 
Assolutamente sì. È ovvio che durante il reality l'impatto era davvero molto vicino allo zero. Nella vita di tutti i giorni è più realistico parlare di una vita in direzione impatto zero. Questo significa che, se si vuole, si può vivere con una consapevolezza maggiore circa il fatto che ogni nostro acquisto, abitudine o scelta ha una conseguenza diretta sull'ambiente nel quale viviamo. 
 
Che cosa hai imparato dai tre mesi di vita ecosostenibile con le telecamere al seguito? 
Con mio padre di ottant'anni e mio figlio di quattro con cui ho condiviso quest'esperienza abbiamo fatto a meno dell'elettricità, che vuol dire niente luce (le candele inizialmente si sono rivelate una vera scomodità) né frigo, abbiamo mangiato frutta e verdura a chilometro zero, ho fatto particolare attenzione agli imballaggi dei prodotti, non ho comprato niente di superfluo. Inoltre ci siamo cimentati nella costruzione di una compostiera, un contenitore per il riciclo dei rifiuti organici con cui ho poi concimato le piante sul ballatoio. Per spostarmi ho utilizzato esclusivamente la bicicletta e i mezzi pubblici. Oggi però se sono in ritardo, e magari ho anche i tacchi, prendo un taxi. 
 
In una sorta di classifica delle scelte ecocompatibili, ce n'è una più "impattante" delle altre? 
Sì, l'alimentazione, una scelta che facciamo tutti più volte al giorno. Neanche girare tutto il giorno in jumbo jet è più inquinante che mangiare carne proveniente dagli allevamenti intensivi. Il metano (un gas serra molto più potente dell'anidride carbonica, n.d.r.) prodotto dagli escrementi dei bovini è responsabile di gran parte dell'aumento dell'effetto serra, mentre il settanta per cento della foresta amazzonica è stato abbattuto per coltivare i cereali per l'alimentazione degli animali di cui ci nutriamo. Quindi, non ci si può definire ecologisti se si continua a mangiare carne. So che quello che sto dicendo suona come una provocazione, ma in realtà è proprio così.



Che nesso c'è tra il tuo essere buddista e l'esigenza della sostenibilità globale? 
Innanzitutto ho cominciato a mangiare vegano - nulla di origine animale, neanche latte o miele - proprio perché cercavo un'alimentazione compassionevole, e il veganesimo è per definizione cruelty free, ovvero non contiene nessuna crudeltà nei confronti di un altro essere vivente. Già questo penso sia in accordo con i principi buddisti. Per il resto faccio quel che ritengo giusto sulla base del principio "fede uguale vita quotidiana", a cominciare dal pormi domande sulla sostenibilità delle mie scelte. Ci sono tanti concetti buddisti nel pensiero sostenibile, perché in entrambe le filosofie non c'è separazione tra gli esseri viventi. Prendiamo il legame tra esseri umani e piante. Poiché dal mondo vegetale provengono la metà delle medicine che ci guariscono, questo è segno che il nostro corpo le riconosce. Le nostre cellule quindi parlano la stessa lingua. Apparteniamo alla stessa famiglia, come si racconta nel documentario Des Forets et des Hommes (Le foreste e gli esseri umani) di Yann Arthus Bertrand, commissionato dall'ONU per l'Anno internazionale delle foreste, che ho doppiato di recente. Dal 1950 il numero della popolazione mondiale è triplicato, il consumo di carne è aumentato di cinque volte, quello di carta di sei. Negli ultimi sessant'anni abbiamo degradato il pianeta più rapidamente di quanto non abbiamo fatto nel resto della storia dell'umanità. Distruggiamo l'essenziale per produrre il superfluo. Ma un'alternativa è possibile.



Come si possano coinvolgere sempre più persone su questo cambio di prospettiva, senza il rischio di diventare integralisti? 
Come si fa nel Buddismo. Io posso raccontare di com'è cambiata la mia vita da quando recito Nam-myoho-renge-kyo, mica voglio cambiare le persone. Non costringo gli altri a praticare, perché significherebbe sostituirsi a loro. Però dico quello che penso quando mi viene chiesto. E siccome quando cambiamo il nostro cuore si percepisce immediatamente anche all'esterno, in quel momento cambia anche il pezzetto di mondo che ci sta intorno.



Secondo te nel movimento della decrescita felice le motivazioni di fondo sono la compassione per gli altri (per esempio l'attenzione alle generazioni future a cui lasciamo un pianeta da rottamare) oppure una forma di idealismo? 
Sicuramente c'è anche un aspetto di idealismo, ma credo che oggi quel che conta sia il piano della realtà. Se tutti vivessero come i cittadini del mondo occidentale non basterebbero cinque pianeti. Non è più tempo di idealismo quindi. Take action! Ognuno di noi faccia quel che può fare al massimo delle proprie possibilità. Ricordiamoci che le risorse non le abbiamo ereditate da chi è arrivato prima di noi, ma le stiamo prendendo in prestito da chi verrà dopo. 
 
È sufficiente aver presente questo piano di realtà per salvaguardare il futuro? 
Ti rispondo con le parole del titolo di un libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa (Guanda, 2010), un'inchiesta frutto di tre anni d'indagini interessantissime sulla carne che mangiamo. Una ricerca emotiva e scientifica sul confine tra essere umano e animale, nata dalla responsabilità di aspettare il primo figlio e di decidere della sua alimentazione. A un certo punto nel libro l'autore racconta di come sua nonna, rinchiusa in un campo di concentramento, avrebbe potuto salvarsi mangiando carne di maiale, un tabù alimentare per lei che era ebrea. La nonna si rifiutò, «perché se niente importa, non c'è niente da salvare». E il lieto fine è che la fede in ciò in cui credeva le ha permesso di salvarsi ugualmente. E di non uccidere un altro essere vivente, aggiungo io. Oltre alla consapevolezza di ciò che abbiamo creato, è fondamentale far seguire alle parole i fatti. 
 
Vivere con poco ma meglio, dedicando il proprio tempo a se stessi e alle relazioni con gli altri. È un punto che senti di condividere? 
Lo condivido pienamente e dico anche che l'ossessione di avere sempre di più e dover conseguentemente lavorare sempre di più per poterselo permettere è un tratto molto italiano. In Svezia, dove vive mia sorella e dove appena posso prendo una casa in affitto, alle tre di pomeriggio le persone tornano a casa dal lavoro per giocare con i figli. I ragazzi si sposano a venticinque anni, i divorzi sono rari, e il tempo libero lo passano in compagnia di famiglie di amici coetanei, tutte con due o tre figli ciascuna. Al pomeriggio, nelle strade di Malmö, l'unica che parla al telefono cellulare sono io!



&nbsp;

Una vita a impatto zero

di Roberta Aramu e Barbara Parodo



«La terra è ammalata. Tutti lo sanno, i mezzi di comunicazione dicono che l'atmosfera si sta surriscaldando, che c'è un surplus di emissione di gas serra e che si tagliano troppi alberi. La sete di guadagno va a scapito della natura. Bisogna agire». E non si può certo dire che lui, l'entomologo e agronomo Giovanni Onore - che abbiamo incontrato a Cagliari in occasione di un convegno sulla biodiversità - non l'abbia fatto. Partito missionario per l'Africa all'inizio degli anni '70 e trasferitosi in seguito in America Latina, nel 1988 ha acquistato vari appezzamenti di terra alle pendici delle Ande in Ecuador istituendo la Fondazione Otonga in difesa della biodiversità. 
«L'azione che materialmente facciamo è quella di comprare la foresta - continua il professore, che attualmente insegna nella facoltà di Biologia presso l'Università Cattolica Pontificia di Quito. La nostra riserva, che oggi conta più di 2000 ettari, vuol essere un modello, un punto di riferimento per gli altri. L'abbiamo chiamata Otonga perché questo è il nome che gli indigeni danno a un gigantesco lombrico diventato il nostro simbolo. In autunno il lombrico mangia le foglie, le digerisce e ne espelle poi una parte (humus) che diventa un prezioso concime naturale per il terreno. È uno che fa la rivoluzione in silenzio. Anche il nostro lavoro è così».



Perché è importante preservare la biodiversità? Quali vantaggi possiamo trarne? 
Senza biodiversità non ci sarebbe vita sulla Terra. La biodiversità è l'insieme degli esseri viventi, animali e vegetali, che vivono in un certo ambiente. Senza esseri viventi non esisterebbe l'ambiente e viceversa. Inoltre tutti gli esseri viventi formano una catena in cui ogni anello ha la sua funzione. Per esempio, se scomparissero le api si estinguerebbero molte piante, perché le api sono tra i principali insetti che volando di fiore in fiore effettuano l'impollinazione. Quando facciamo scomparire un essere vivente eliminiamo un'intera porzione di vita. In questo momento c'è una minaccia enorme alla biodiversità a causa del surriscaldamento globale e del trasporto da un continente all'altro di animali e piante che, non vivendo nel loro ecosistema originario, provocano notevoli danni. 
L'equilibrio naturale è davvero fragile: si pensi ai trasporti veloci, che spostano da un paese all'altro anche piccoli insetti che minacciano la biodiversità del paese dove vengono trasferiti, perché le piante o gli animali del paese di arrivo possono non essere in grado di accoglierli o di reagire per difendersi.



Si può parlare anche di rischio di perdita di quella che in senso traslato potremmo definire "biodiversità" umana? 
In un certo senso sì. Ovviamente quello che differenzia gli individui della nostra specie non sono solo i tratti biologici delle differenti razze ed etnie, ma soprattutto la cultura, la saggezza, i valori. Se il denaro, il potere, la forza - valori tipici delle popolazioni occidentali - si impongono su popolazioni che hanno una cultura basata su valori totalmente differenti, allora viene spazzata via anche una diversità culturale. Per questo noi puntiamo molto sull'educazione, perché più si studia, più si diventa consapevoli e capaci di salvaguardare la propria identità.



Attualmente quante specie animali e vegetali della foresta di Otonga sono state catalogate? 
Si può dire che abbiamo appena cominciato, il resto lo farà chi verrà dopo di noi. In Ecuador le specie sono tantissime: solo in quel piccolo pezzo di foresta che abbiamo preservato ci sono cinquanta tipi differenti di rane e quattromila cinquecento tipi di orchidee. Poco tempo fa è stata trovata una piccola iguana che era ancora sconosciuta, e per questo è stata ribattezzata come l'iguana di Otonga (nome scientifico: Anolis Otongae). 
Alle pendici delle Ande vi sono tantissimi tipi di rane. Oltre all'importanza scientifica e della preservazione delle specie, perché sono così interessanti? È stato recentemente scoperto, per esempio, che una di queste rane ha nella pelle delle molecole cinquecento volte più potenti della morfina per combattere il dolore. Altro caso: è molto utile lo studio degli anticorpi del bradipo, perché questo animale è in grado di resistere a qualsiasi epidemia. Quindi se scompare la biodiversità scompaiono tanti segreti. 
Inoltre l'Ecuador è una terra ricchissima di vulcani: anche questo è un grande fattore di biodiversità, perché le loro ceneri sono un ottimo concime. Ci sono cinquecento varietà di patate, e ognuna ha una funzione speciale. Un giovane ricercatore venuto a Otonga ha scoperto che su un ramo di foresta esiste un numero di differenti varietà di piante superiore a quelle di tutta la Germania. 
 
Lei dice che la conservazione della biodiversità, oltre ad avere importanza dal punto di vista ambientale, ha dei riscontri anche dal punto di vista sociale? 
Assolutamente sì. I due ambiti si devono integrare. Non si può solo proteggere l'ambiente, bisogna proteggere e aiutare anche le persone che ci vivono. In una foresta dove ci sono dei bambini, se questi acquisiscono consapevolezza della ricchezza dell'ambiente che li circonda, una volta diventati grandi vivranno in modo più degno, senza aver bisogno di danneggiare l'ambiente, anzi traendo da esso il sostentamento per vivere una vita dignitosa. 
Tanti mi aiutano nel portare avanti questi valori. È una cosa meravigliosa: se uno fa delle cose buone, gli altri si sentono contagiati e le fanno anche loro, dalle persone modeste ai ricchi industriali. La mia gloria non è solo quella di aver salvato 2000 ettari di foresta, ma soprattutto di aver instillato gli ideali di salvaguardia della biodiversità nella mente di altre persone. La gloria vera è poter cambiare il cuore delle persone, che è la cosa più difficile. È come si fa con un bambino, prima si inizia a farlo appassionare a ciò che studia, poi lui sarà in grado di muoversi da solo portando avanti gli stessi ideali. Salvare la natura è un ideale universale che unisce tutti. 
 
Che ruolo ha il Centro di Educazione Ambientale situato nella foresta di Otonga ai fini dell'educazione? 
È un parco nazionale che accoglie i visitatori per mostrare loro come si convive con la foresta. Si insegna il ruolo che ogni animale o ogni pianta ha all'interno di quell'ecosistema. È una sorta di immensa aula di scienze all'aria aperta. 
 
In certe realtà non esiste una cultura di sensibilizzazione alla tutela dell'ambiente, ad esempio in Italia. Anche se ognuno di noi cerca di fare qualcosa, non è troppo poco? 
No, perché se noi educhiamo i nostri figli a questo comportamento, loro poi potranno fare delle cose meravigliose in futuro, anche imparare ad agire politicamente. Se non facciamo questo, il cambiamento non avverrà mai. 
 
Nell'ambito di un progetto così ampio, come si può superare la corsa con il tempo? 
Questa è una cosa che preoccupa anche me. E forse potremmo anche essere in ritardo, però se non si comincia, non si farà mai niente. Bisogna agire. Se siamo in tempo, tanto meglio, se non siamo in tempo per fermare il processo, almeno possiamo ritardarlo. 
È importante che ognuno di noi interiorizzi individualmente le problematiche di cui si parla. La rivoluzione più grande è quella individuale, cambiando individualmente possiamo cambiare molto. Ormai le cause della degenerazione della natura sono tantissime ed è difficilissimo trovare la medicina, non esistono risposte o soluzioni certe, né tanto meno solo i "grandi della terra" hanno il potere e la facoltà di cambiare le cose. Quindi, ognuno di noi ha una grande responsabilità.



&nbsp;

Ho comprato una foresta

Quando l'impresa è un affare di tutti

Questo speciale parla di felicità.
Di felicità per tutti e tutte, la sfida millenaria del Buddismo e l'unico futuro per la sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra. Un pianeta che non può più sostenere i ritmi di sfruttamento delle risorse, di inquinamento e produzione di rifiuti a cui la crescita economica del Nord del mondo lo ha sottoposto

Felici tutti

Contenuto riservato agli abbonati