Quando ricevetti la notizia della morte di Zhou Enlai mi trovavo nel Kansai. Quel momento inevitabile alla fine era arrivato, pensai, e offrii una preghiera silenziosa per lui: «Quanto dovevi essere stanco, premier. Per favore, ora riposa sereno». Era il 9 gennaio 1976.
Da giovane aveva studiato a Kyoto e, prima di lasciare il Giappone, l’allora ventunenne Zhou aveva visitato i parchi di Arashiyama e Maruyama. Era la primavera del 1919 e la collina di Arashiyama era avvolta da una nube di pioggia. Le rive del fiume che attraversava il vicino parco erano costeggiate da pini di un verde intenso e la pioggia scrosciava.
Cosa poteva fare per salvare il suo paese dalla sofferenza, si chiedeva il giovane Zhou. Era venuto in Giappone alla ricerca di soluzioni, ma ben presto si era reso conto che dietro l’apparente prosperità del paese si celava lo spettro di un popolo impoverito ed esausto. E fra i giapponesi era forte il disprezzo razzista per gli altri popoli dell’Asia. «È tempo di tornare – decise – di ritornare nella mia terra natale». Guardò in alto. La pioggia era cessata e in mezzo a quel tappeto di verde intenso occhieggiava un piccolo gruppo di ciliegi dai fiori leggiadri, come una torcia che illuminava l’oscurità: […] il rosa delicato di quei boccioli, sotto la luce dei lampioni, risplendeva di una bellezza ultraterrena.
«La prego di venire nuovamente in Giappone quando i ciliegi sono in fiore», lo invitai quando ci incontrammo, molti anni dopo.
«Mi piacerebbe molto – rispose – ma forse non sarà possibile». Questo nostro scambio ebbe luogo il 5 dicembre 1974, poco più di un anno prima della sua morte, quando il premier Zhou era già gravemente malato.
La prima cosa che mi disse in quell’incontro fu quanto gli fosse dispiaciuto di non avermi potuto incontrare quando avevo visitato per la prima volta la Cina qualche mese prima. Mi confessò che allora era semplicemente troppo malato. […] Eppure anche in quelle condizioni si era occupato minuziosamente dei preparativi. Attraverso i suoi collaboratori si era informato dettagliatamente delle mie abitudini, di quali cibi mi piacessero, se fumavo e così via, in modo da rendere il mio soggiorno il più confortevole possibile. […] Volle anche che sostituissero le tende della mia stanza con altre più pesanti in modo che potessi dormire meglio. Ovunque andassi trovavo segni della sua premura; la mia intera visita fu permeata dalla sua gentilezza e considerazione. […]